Ricordando Luigi Nono a cent’anni dalla nascita

 A Roma tre lavori dell’ultimo periodo di Nono e la prima assoluta di un lavoro di Pasquale Citera

Paolo Ravaglia
Paolo Ravaglia
Recensione
classica
Vecchia Pelanda, Roma
Luigi Nono
10 Dicembre 2024

Al densissimo calendario del festival di Nuova Consonanza si vanno spesso a sovrapporre gli altri appuntamenti musicali romani e questo rende inevitabile perdere molti concerti, ma non si poteva perdere quello dedicato a Luigi Nono nel centenario della nascita. La sede del concerto era il vecchio mattatoio, dismesso mezzo secolo fa e ristrutturato, che ora accoglie istituti universitari, sale di esposizione, teatri, ecc. La sede di questo concerto era la vecchia Pelanda (questi nomi macabri non inducono a entrarvi in completa serenità) in cui ora sono state ricavate varie sale e un piccolo auditorium.

La prima parte del concerto si è svolto col pubblico disposto in cerchio intorno agli esecutori della prima assoluta di Manutenzione Ordinaria delle Paure  di Pasquale Citera. Classe 1981, nato nel Cilento, Citera ha studiato a Roma, è docente di computer music, composizione audiovisiva e multimediale al conservatorio bolognese e nelle sue composizioni è solito usare strumenti tradizionali con integrazioni elettroniche. Questa telegrafica presentazione era necessaria, perché non tutti lo conoscono, né il programma di sala dava la minima informazione. Questo suo lavoro, come racconta egli stesso, “è un esercizio d’ascolto, di comprensione e manutenzione delle ansie quotidiane. Personali, collettive, occasionali, ataviche. Una stanza (…) che porta in sé ricordi traslati in forma musicale, dilatati, amplificati, distorti. In quella distorsione trovano un loro equilibrio. Una trama risonante nella quale i tre autorevoli e magistrali interpreti moduleranno e distruggeranno l’equilibrio sonoro presente per condurlo verso uno stadio completamente nuovo”. 

Una presentazione interessante. Ma perché mai le distorsioni del suono dei vari strumenti e la distruzione dell’equilibrio sonoro tradizionale dovrebbe suscitare paure e ansie in un pubblico - in particolare quello di Nuova Consonanza - che si suppone abituato a questo e altro da molti anni? Il brano inizia con suoni prodotti elettronicamente, poi entrano uno dopo l’altro la tuba, il flauto e il clarinetto basso, che dapprima producono suoni totalmente deformati, che non hanno nulla in comune con i suoni naturali di questi strumenti ma che poi cominciano gradualmente a rivelare la loro origine strumentale e, pur non producendo assolutamente suoni intonati, ci immergono in un ambiente sonoro talvolta rude e talvolta delicato, fatto di echi e sussurri. Più che paure e ansie, questa musica genera inizialmente la sensazione di un mondo sonoro primordiale, antecedente all’apparizione dell’umanità, in cui gradualmente si fa strada il suono degli strumenti umani, che poi nuovamente scompaiono, come scomparirà presto o tardi l’uomo: infatti i tre strumentisti si alzano ed escono dalla sala, e il panorama sonoro ritorna, come all’inizio, quello “non umano” dell’elettroacustica. 

Sono consapevole che la mia è un’interpretazione personale, non autorizzata e un po’ romantica. Ma poiché anche Citera ne dà una spiegazione in termini emotivi e narrativi, è lecito che l’ascoltatore, non riconoscendo tale spiegazione in quel che ascolta, ne cerchi una propria. Comunque lo si voglia interpretare, è un lavoro interessante e ben progettato e, se c’è qualcosa di non particolarmente originale, che sembra di aver già ascoltato, probabilmente la ragione è che, sebbene non esplicitamente dichiarato, questo è un omaggio a Luigi Nono. 

Non è un caso che sia stato scritto per gli stessi tre strumenti e gli stessi tre intrepreti che nella seconda parte del concerto hanno eseguito i tre lavori di Nono in programma. Questi tre straordinari musicisti sono Roberto Fabbriciani al flauto, Giancarlo Schiaffini alla tuba e Paolo Ravaglia al clarinetto basso, che, quando li si ascolta suonare, non lasciano assolutamente supporre la loro età. Il primo brano di Nono era Das atmende Klarsein (Fragmente),  frammento di un più ampio lavoro, che nella versione integrale prevedeva un coro accanto al flauto basso e ai live electronics. La prima esecuzione ebbe luogo a Firenze nel 1981, con Fabbriciani al flauto, come adesso. Qui “il flauto basso e il flauto basso preregistrato su nastro magnetico dialogano con grande respiro, contrastandosi e assecondandosi in una sorta di improvvisazione sull’improvvisazione”, come afferma lo stesso Fabbriciani. Il risultato che dovette colpire l’ascoltatore del 1981 e colpisce ancora oggi è la miniera di suoni insospettati e misteriosi che Nono e Fabbriciani, lavorando lungamente insieme nell’Experimentalstudio di Stoccarda, scoprirono nel flauto e fecero riverberare, echeggiare, circolare con i live electronics, raggiungendo una “diversità e molteplicità fantastica del suono”, come disse Nono. Da questo mondo sonoro nuovo, dalla Atmende Klarsein  (La chiarezza che respira) emana una segreta poesia, parola che fino a quegli anni interessava ben poco alle avanguardie e la cui ricerca è resa qui esplicita anche dal testo cantato nella parte corale, tratto dalle Elegie Duinesi  di Rilke. 

Anche A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum,  del 1985, dedicato a Pierre Boulez, nacque da una simile ricerca sulle possibilità sonore che possono scaturire questa volta non da uno ma due strumenti dialoganti tra loro. Abbinando flauto contrabbasso (ancora Fabbriciani) e clarinetto contrabbasso (allora Ciro Scarponi, altro collaboratore storico di Nono, questa volta rimpiazzato validamente da Paolo Ravaglia), sempre con il contributo fondamentale dei live electronics, si aprono altri segreti mondi sonori da scoprire. Questa volta Nono esplora soprattutto la ricchezza di armonici di questi due insoliti strumenti e cerca la completa integrazione tra suoni dal vivo e live electronics, fino a renderli indistinguibili. Questo nuovo mondo di suoni si identifica anche qui con un mondo “poetico” di sensazioni e immagini: l’amico Pierre, l’azzurro sopra i tetti di Parigi, i vagabondaggi inquieti, la visionarietà utopica, come ricorda Nono stesso.

Concludeva il concerto Post-prae-ludium n. 1 per Donau  per tuba in fa e live electronics del 1987, ancora un’esplorazione di nuovi mondi sonori, realizzata con una lunga collaborazione in studio tra compositore e strumentista, questa volta Giancarlo Schiaffini, che l’ha eseguito anche ora a Roma. Ascoltando questo e anche i due precedenti brani l’ascoltatore non poteva non chiedersi quale fosse il rapporto tra partitura ed esecuzione, visto che tutto -  altezze, durate, intensità, colori - è imponderabile e sfuggente: “Il decorso compositivo - spiega Nono - è fissato nei suoi dettagli, mentre la notazione è pensata come traccia per l’esecutore. Nuove possibilità tecnico-esecutive di una tuba a sei pistoni danno all’interprete continua libertà, a partire da queste indicazioni, di plasmare eventi sonori casuali sempre nuovi”. In tutti e tre i lavori è fondamentale l’apporto dei live electronics e quindi della regia del suono, di cui allora si occupava Nono stesso e qui realizzata da Alvise Vidolin, altro suo storico collaboratore (e da Giuseppe Silvi per il brano di Citera).

Applausi da un pubblico formato da una piccola parte di ascoltatori con i capelli bianchi e da una maggioranza di giovani, tra cui studenti del conservatorio, che con i loro commenti stupiti rivelavano di essere ai loro primi approcci a Nono.  

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

A Catania torna il titolo di punta di Ponchielli, in un allestimento complessivamente positivo

classica

Il Teatro La Fenice apre la stagione sinfonica con le prestigiose bacchette di Hervé Niquet e Charles Dutoit