Onegin nostro contemporaneo
Cajkovskij alla Scala con la regia di Martone
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Il progetto di un Evgenij Onegin alla Scala era già nell'aria nel 2019 quando Mario Martone aveva discusso a Pietroburgo di alcuni titoli che Valerij Gergiev avrebbe voluto dirigere. A scombinare tutto è stata poi la guerra in Ucraina e il bando del direttore russo da parte dell'Europa. Ora l'opera di Čajkovskij approda al Piermarini firmata da Martone, con le scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak, un'edizione che merita di essere ricordata proprio per l'allestimento. La vicenda del dandy "inutile" è portata ai giorni nostri senza particolari traumi per lo spettatore, tutto scorre a meraviglia. Nel primo atto siamo in campagna, anche grazie alle luci affidate a Pasquale Mari la calura è palpabile; fra i campi di grano c'è una casetta ingombra di libri, che la notte sotto il cielo stellato si sposta verso il proscenio. È l'unico interno dell'opera, il regno di Tat’jana, è lì che scrive la lettera; Aida Garifullina ne è l'interprete ideale per avvenenza, ha voce che manca un poco di dolcezza, ma è una perfetta sognatrice, appassionata di romanzi d'amore, ma anche di canzoni d'amore che ascolta in cuffia durante la festa dei contadini. Il che crea un divertente straniamento perché alle sue orecchie non arriva di certo quanto ascoltiamo in sala. Nel ruolo del titolo è Alexey Markov, baritono dalla voce calda e perfettamente nella parte anche per l'ombra di malinconia che lo accompagna; Lenskij è Dmitry Korchak, tenore dall'impostazione sicura, dal tono un po' aspro nel primo atto che però si è poi meritato applausi a scena aperta per l'aria dell'addio alla vita. Più che buone le altre interpreti femminili; Elmina Hasan (Olga), Alisa Kolosova (Larina), Julia Gertseva (Filipp’evna). Il secondo atto si svolge d'inverno in un villaggio in festa, i colori del cielo sono grigi e la presenza di alcuni uomini armati fa intuire che il paese è in guerra, non a caso una bomba distruggerà la casa dei libri e della cultura e incendierà una piazzuola. L'allusione alla contemporaneità è evidemte, confermato dallo scontro fratricida fra i due giovani. Non è però il duello previsto, ma una "roulette russa", il che cambia non poco la situazione perché la morte non è più responsabilità di Onegin, ma del caso. Di tutta la messa in scena è l'unico passaggio leggermente stridente. Il terzo atto ha inizio con la solenne polacca del preludio a sipario chiuso e mezze luci in sala, poi un'enorme velo rosso trasparente fa intravedere gli invitati al ballo a San Pietroburgo, mentre l'incontro fra Onegin e il principe Gremin (l'autorevole Dmitry Ulyanov) avviene in proscenio. Da questo momento la messa in scena procede per detrazione e con grande effetto, sparisce il velo, spariscono gli ospiti, i mobili vengono portati via. Nella scena vuota col fondale nero rimangono solo Onegin e Tat’jana, ormai grande dama di mondo, che gli dice addio e sulle ultime battute scompare nel buio. Non solo nel finale, ma in ogni momento di tutto lo spettacolo non c'è un solo gesto degli interpreti fuori misura, va preso atto che Martone ha curato la recitazione al millimetro. Quanto alla direzione d'orchestra, Timur Zangiev si è dimostrato una guida sicura nel coordinare organico e cantanti, tenendo saldo il controllo delle varie sezioni. Anche se è spesso trattenuto, senza mai prendersi cura di dare più smalto ad alcuni delicati passaggi, come nell'aria della lettera.
Applausi per tutti a fine serata, con qualche buu dal loggione per Martone e la sua équipe. Francamente immeritati e incomprensibili.
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