Preghiere in musica per i migranti
Per “Le vie dell’Amicizia” Riccardo Muti ha diretto brani di Baldessari e Sollima
Per la XXVIII edizione de Le vie dell’Amicizia – il progetto di Ravenna Festival che, fin dal suo debutto nel 1997 in una Sarajevo ancora ferita dalle bombe, impiega la musica come linguaggio di pace, conforto, dialogo e preghiera – questo “ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura” è stato declinato quale appello affinché il Mediterraneo ritrovi la sua natura di veicolo di vita e di relazione tra le terre e i popoli, anziché perpetuare la sua attuale condanna ad essere teatro di disperazione e di morte.
Il “Mare nostrum”, dunque, ha fatto da sfondo ideale per il concerto che abbiamo seguito domenica scorsa al Pala Mauro de André di Ravenna – e che è stato proposto anche il 9 luglio al Teatro naturale di Lampedusa – dove abbiamo potuto seguire Riccardo Muti alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini impegnato nella lettura di alcune pagine di musica contemporanea, quasi a ricercare un linguaggio espressivo dell’oggi per riflettere su un dramma che affonda le sue radici nella storia recente ma che viene alimentato costantemente e fatalmente dalle notizie di cronaca attuali.
Una serata, potremmo dire, di preghiera laica in musica che è stata aperta dal toccante impasto vocale di Coro a Coro, formazione di voci femminili diretta da Rachele Andrioli e impegnata in un programma titolato “Canti migranti” che ha offerto, in variegati intrecci polifonici, brani popolari di origini diverse, passando da composizioni originali firmate dalla stessa Andrioli a canzoni tradizionali come l’ucraina “Zeleneye”, fino ad arrivare a “Quando ritorno ti porto un fiore”, melodia popolare generata dallo scambio di tradizioni tra Puglia e Albania. Un’oasi vocale poi completata dalla dimensione solistica nella quale la cantante palestinese del gruppo ha interpretato una preghiera tradizionale araba dedicata alle madri.
Voci di donne, quindi, come donna era Samia Yusuf Omar, la velocista somala che ha perso la vita nel Mediterraneo cercando il suo futuro come tanti altri migranti e che ha ispirato il brano Līmen | Samia | līmen, composizione elettroacustica commissionata da Ravenna Festival ad Alessandro Baldessari, autore anche delle musiche originali e gli arrangiamenti dello spettacolo Non dirmi che hai paura, basato sulla vita della stessa Samia e andato in scena l’8 luglio al Teatro Alighieri, quale tappa centrale tra i due concerti de Le vie dell’Amicizia.
Una pagina, questa di Baldessari, che – anche grazie all’equilibrata orchestrazione di Claudio Cavallin – ha saputo coniugare le metamorfosi timbriche dei suoni elettronici – ora compatti e profondi, ora più affilati e pregnanti, ora ancora più didascalici e descrittivi – con il tessuto strumentale di un’orchestra che ha assecondato con efficace reattività la lettura attenta di Muti, lucida nel restituire quel senso di disperata sospensione racchiuso in questo brano, una tensione che lo stesso compositore ha concepito come evocazione degli ultimi attimi di Samia trascorsi in quel mare che ha ascoltato il suo ultimo respiro, «un respiro – per usare le parole dello stesso autore – che dura un tempo indefinito, preso sulla linea sottile tra il mare e l’aria. Un’espansione e uno sfogo di rabbia e amarezza, di nostalgia e infine di pace».
Un brano, quello di Baldessari, sicuramente valorizzato da una direzione accurata e asciutta, approccio ribadito da Muti anche per lo Stabat Mater per controtenore, theremin, coro e orchestra di Giovanni Sollima. Una partitura, quella del violoncellista e compositore palermitano, che affronta l’iconica sequenza attribuita a Jocopone da Todi attraverso una scrittura tesa e comunicativa, capace di entrare in relazione con i versi in dialetto siciliano di Filippo Arriva con una affinità espressiva al tempo stesso profonda e discreta. Come annota lo stesso Sollima, «comporre uno Stabat Mater significa misurarsi con la descrizione del più grande dei dolori, quello di una madre che piange il figlio morto, come i tanti figli che ogni giorno muoiono nel nostro mare. Era il 2021 quando è stato eseguito per la prima volta, sotto la mia direzione, a Catania. Eppure, il vero artefice di questa composizione è Riccardo Muti: è lui che, dopo aver letto il testo di Filippo Arriva, gli ha consigliato di rivolgersi a me per metterlo in musica».
Ancona una donna, dunque, in questo caso incarnata dalla Madre che piange suo Figlio morto per la salvezza di un mondo che pare aver scordato questo sacrificio. Un dolore che diviene simbolo di un dramma infinito e che prende corpo in quella sorta di centellinato lamento distribuito nelle otto parti di questa composizione. Otto tappe di una preghiera disegnata attraverso una materia musicale alimentata ora dai delicati tratteggi melodici affidati all’espressiva voce di controtenore di Nicolò Balducci, ora al fascino sinuoso del suono del theremin plasmato con cura efficace da Lina Gervasi. Interventi intensi, innestati nell’articolarsi di un dialogo tratteggiato tra misurati scarti dinamico-ritmici e definite cellule melodico-armoniche, costruito sui rimandi tematici condivisi tra il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini – ben preparato da Lorenzo Donati – e un’Orchestra Cherubini i cui musicisti imbracciavano alcuni degli strumenti variopinti costruiti nel carcere milanese di Opera con il legno di barconi naufragati, messi a disposizione per l’occasione dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. Lo stesso Sollima, presente in orchestra, ha interpretato su uno di questi strumenti il “solo” di violoncello che lo ha visto tratteggiare uno dei momenti più pregnanti di quest’opera.
A fine serata gli applausi giustamente generosi del folto pubblico presente hanno salutato tutti gli artisti impegnati.
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