Il postiglione che si fece tenore 

All’Oper Frankfurt un nuovo allestimento dell’opéra comique Le postillon de Lonjumeau di Adolphe Adam 

Le postillon de Lonjumeau (Foto Barbara Aumuller)
Le postillon de Lonjumeau (Foto Barbara Aumuller)
Recensione
classica
Frankfurt am Main, Oper Frankfurt (Opernhaus)
Le postillon de Lonjumeau 
02 Marzo 2025 - 12 Aprile 2025

Il Carnevale è finito da qualche giorno, ma all’Oper Frankfurt si continua a ridere (o almeno a sorridere). E subito dopo la tragedia di primo Novecento di Guercœur  del francese Albéric Magnard (e già si annuncia imminente l’opera comica Doktor und Apotheker di Carl Ditters von Dittersdorf), nella bulimia produttiva del teatro trova spazio un altro lavoro francese di tutt’altro spirito: Le postillon de Lonjumeau di Adolphe Adam, composto per l’Opéra Comique nel 1836. Questo tipico prodotto dell’epoca, ambientato nella stazione di posta di Lonjumeau fra Parigi e Orange all’epoca di Luigi XV, monarca piuttosto incline al libertinaggio, si apre con le nozze del postiglione Chapelou con la locandiera Madeleine. A turbare la festa arriva il marchese di Corcy, sovrintendente dell’Opéra, in viaggio alla ricerca di un tenore per ordine del sovrano. Questi sente cantare Chapelou e lo convince a seguirlo a Parigi dove conoscerà la gloria. Chapelou cede rapidamente alle lusinghe e abbandona la sposa sull’altare. Fast forward: dieci anni dopo, Chapelou è diventato la stella del canto Saint-Phar. Sotto le mentite spoglie di Madame de Latour, non riconosciuta, Madeleine seduce il marito, che cede rapidamente. La donna però resiste alle sue profferte amorose e Chapelou organizza un finto matrimonio con lei per preservare la sua virtù di donna onorata. Il finto sacerdote è sostituito da Madeleine con uno vero e Chapelou rischierebbe la condanna a morte per bigamia se alla fine Madame de Latour non rivelasse la sua vera identità e assicurasse il lieto fine alla vicenda. 

Il motivo (meta)teatrale e il gioco di travestimenti offre molti spunti all’agile spettacolo di Hans Walter Richter, ripreso dai Tiroler Festspiele di Erl, tutto costruito sull’idea di teatro nel teatro. La semplice scena di Kaspar Glarner si riduce a un modellino di teatro settecentesco in scala quasi reale fatto ruotare a spinta sul grande palcoscenico dell’Opernhaus mostrando così gli ingranaggi dell’illusione teatrale. Nessuna deriva intellettualistica nel disegno registico, che rispetta lo spirito originale della commedia e l’ambientazione settecentesca (come suggeriscono i sontuosi costumi dello stesso Glarner), concedendosi un siparietto iniziale fra il Corcy in affanno per la furia di re Luigi XV in cerca di un tenore all’altezza della corte di Francia. 

Un esuberante brio trasmette anche i solisti di canto, tutti perfettamente calati nei rispettivi ruoli, che ha in Francesco Demuro un impeccabile protagonista nei panni non comodissimi che furono di Jean Baptiste Chollet, primo interprete del ruolo e stella dell’Opéra Comique (sue anche le creazioni di Fra’ Diavolo di Auber e Zampa di Hérold), grazie alla tessitura molto spinta dominata con una certa sicurezza e alla simpatia del commediante. Al suo fianco, impressiona meno la Madeleine di Monika Buczkowska-Ward, cantante corretta ma non particolarmente espressiva. Se la cavano piuttosto bene Joel Allison, il fabbro Bijou molto versato nel comico, e Jarrett Porter, un Corcy fin troppo carico. Molto divertente è anche Gabriel Wanka, “en travesti” nel ruolo muto di Rose, la cameriera della Latour, che cura anche le coreografie dello spettacolo. Dà buona prova di sé soprattutto per la grande versatilità il Coro dell’Oper Frankfurt preparato da Álvaro Corral Matute

Dalla buca la direzione di Beomseok Yi assicura una guida brillante alla Frankfurter Opern- und Museumsorchester che offre un’ottima prova specialmente nei frequenti interventi solistici dei fiati (e soprattutto dell’impeccabile clarinetto di Jens Bischof). 

Pubblico numeroso alla seconda recita. Risate. Applausi.

 

 

 

 

 

 

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