L’ossessione di Fedra

Il Badisches Staatstheater di Karlsruhe presenta un nuovo allestimento di Phèdre di Jean-Baptiste Lemoyne 

Phèdre  (Foto Felix Grunschloss)
Phèdre (Foto Felix Grunschloss)
Recensione
classica
Karlsruhe, Badisches Staatstheater (Großes Haus)
Phèdre
25 Gennaio 2025 - 17 Aprile 2025

Gli unici soggetti che Lemoyne trovasse interessanti per un’opera erano incesto, avvelenamenti e omicidio: parola di Antoine Dauvergne, compositore di corte a Versailles e direttore generale dell’Académie royale de musique fra il 1780 e il 1782, quattro anni prima della creazione di Phèdre, seconda opera composta dal collega trentaseienne, quattro anni dopo Électre, che arriva a Parigi poco meno di un mese dopo la rappresentazione per la corte al Castello di Fontainebleau. 

In effetti è vicenda per palati forti quella di Fedra, seconda consorte del re Teseo e vittima di una passione bruciante per il figliastro Ippolito, frutto dall’amore di Teseo e della regina della Amazzoni, Ippolita. Assente il marito, che ha lasciato Trezene per avventurarsi nel regno degli inferi, Fedra rivela prima la sua ossessione per il figliastro alla confidente Œnone e quindi, all’annuncio della morte del re, trova il coraggio per dichiararsi a Ippolito, il quale tuttavia si ritrae inorridito. A sorpresa, Teseo fa ritorno a Trezene e, dapprima insospettito dall’insolito comportamento dello sfuggente Ippolito e quindi ingannato dalle parole di Œnone su una presunta violenza di Ippolito sulla matrigna, impone l’esilio al figlio e invoca la vendetta del dio Nettuno. Quando Ippolito si accinge a lasciare Trezene, un mostro marino lo trascina negli abissi. Davanti al suo cadavere, Fedra confessa a Teseo la sua colpa e si uccide. 

L’opera di Lemoyne su un libretto di François-Benoît Hoffman (lo stesso della Medée di Cherubini) con solide radici nella celebre tragedia di Racine è un frutto maturo della tradizione francese della “tragédie lyrique”: lunghi recitativi e grandi scene di bravura concesse ai tre vertici del triangolo incestuoso che sollecitano interpreti dalle qualità non comuni e un’adesione ai canoni estetici di quel teatro, tornato popolare soprattutto in Francia sull’onda della rinascita di interesse per l’opera barocca. Interessante che per la prima volta quest’opera arrivi in un teatro tedesco, al Badisches Staatstheater di Karlsruhe, città non troppo lontana dalla frontiera francese, che proprio a partire da questa Phèdre annuncia una linea di programma che nelle prossime stagioni si concentrerà sul repertorio francese meno conosciuto. Ovviamente c’è lo zampino del Palazzetto Bru Zane, al quale si deve il recupero della partitura di Lemoyne e una registrazione nella collana “Opéra Français” di qualche anno fa, e con il quale del resto viene dichiarata la collaborazione per questa nuova versione scenica di Phèdre vista a Karlsruhe (e accolta da una certa curiosità del pubblico locale) che coinvolge solo forze interne al teatro ma si affida alla bacchetta di Attilio Cremonesi specialista del repertorio barocco e classico. Fatta eccezione per i corni naturali e i timpani, la Badische Staatskapelle è un’orchestra tradizionale ma il direttore riesce nel non facile compito di alleggerire e rendere trasparente e agile il suono degli archi, dare grande evidenza agli interventi dei legni (e del flauto nell’elaborato assolo dell’ouverture) e soprattutto dare una plausibilità stilistica alla scrittura tardobarocca di Lemoyne. Un risultato più che buono lo assicura anche la distribuzione vocale, che attinge anche dalle risorse interne del teatro (e quindi necessariamente non specialistiche), nella quale solo l’ Hippolyte di Krzysztof Lachman risulta estraneo alle esigenze vocali di un ruolo che richiederebbe un haute-contre e non un tenore spinto e troppo forzato nell’emissione. All’opposto, Ann-Beth Solvang è una superba Phèdre per immedesimazione scenica – fisicamente impressionanti i segni del suo progressivo scivolare nella follia d’amore – ma anche per sicurezza vocale e dominio dello stile. Non meno riuscita è, al suo fianco, la trepidante Œnone interpretata da una brillante Anastasiya Taratorkina. Molto bene anche il Thésée di Armin Kolarczyk, che si impone nella grande scena tragica “Le monstre au nom de Phèdre … Neptune seconde ma rage” del terzo atto. All’altezza anche i due ruoli minori del Grand de l’Ètat di Oğulcan Yılmaz e l’Acamas di Phillip Hohner. Discreti ma poco non marcanti gli interventi del Coro del Badisches Staatstheater, visibilmente estraneo allo stile. 

Funziona l’allestimento minimalista firmato dal regista Christoph von Bernuthche raffredda una certa enfasi retorica del testo di Hoffman ma denuncia una cura attoriale non comune. Essenziali le scelte scenografiche di Oliver Helf, che sul palcoscenico girevole monta un grande scalone, che allude alla reggia ma, grazie alle efficaci proiezioni video, si fa anche mare in tempesta nel tragico epilogo, e la claustrofobica stanza di Fedra dalle alte pareti nere coperte del nome di Ippolito scritto col gessetto, manifestazione plastica dell’ossessione della regina per il figliastro. Curiosa la scelta dei costumi di Karine Van Hercke che postdatano la vicenda a un Ottocento maturo senza una vera ragione. 

Pubblico numeroso. Molti applausi. 

 

 

 

 

 

 

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