Quattro lingue per comunicare brevemente al pubblico lo stato di agitazione dell'orchestra e del coro della Fenice nell'arco dei prossimi tre mesi contro la sciagurata indifferenza in cui versa il mondo dello spettacolo. Poi un minuto di raccoglimento in ricordo di Marcello Viotti, scomparso il 16 febbraio scorso, che questo "Parsifal" avrebbe dovuto dirigerlo. Quindi su il sipario per una ancestrale meditazione parsifalica, essenziale, epigrammatica, che inclina a est dell'Oriente, all'India, al buddhismo, e che innesta quanto di più totale, dopo Wagner, aveva progettato Skrjabin con il suo incompiuto "Mysterium": quei corpi ignudi, femminili e maschili, cosparsi di terra secca griagiastra, colti in atti velatamente orgiastici nel castello di Klingsor, che fanno corolla al gruppo di fanciulle in un lussureggiante, quanto immaginario giardino del pensiero indiano, rammentano la totalità sensoriale skrjabiniana. Le traiettorie a brandelli dell'antico - secondo la splendida soluzione offerta da Denis Krief - la simbologia della ferita del cigno, ossia la natura violata, sono ciò che resta di una civiltà smarrita ormai in frantumi, scampata al naufragio e barcollante sulla rena lavica. E' da questi brandelli che nasce l'idea di una sua realizzazione fatta di semplicità totale. Gli atti esterni vedono in scena quattro enormi travi di legno, un rottame recuperato in una discarica di Marghera; nel secondo atto è posta una costruzione di lamiere di recupero. Spazi scenici destrutturati, geometrie fatte di linee oblique, di curve metalliche, per raccontare la storia e vivere dentro la musica senza aggiungere, anzi rarefacendo qualsiasi elemento di troppo, lasciando immaginare il non detto. Le inibizioni interpretative, le correzioni per sottrazioni di immagini, gli abiti di un'India povera e antica, dignificano il rito. Ma come rappresentare il Graal in questo ambiente purgato? Recuperando le fattezze di un'antica coppa bizantina conservata nel Tesoro di S. Marco, che si dice avesse contenuto il sangue di Cristo, portata nella città lagunare dal doge Dandolo e presentata secondo tradizione alla popolazione ogni Venerdì Santo. Un fil rouge efficace che dimostra la profondità delle meditazioni di Krief. Gabor Otvos ha diretto con straordinaria aderenza analitica la partitura, esaltandone le intuizioni drammatiche. Cast stellare con la Soffel, magnetica Kundry. Qualche rimpianto per l'assenza di Storey, sostituito nel ruolo del "puro folle" da Richard Decker, nobilmente calato nella sacertà dell'avvenimento. Bravi anche gli artisti di fianco, rafforzati dalla Camerata Silesia e dai Piccoli Cantori Veneziani. Ovazioni prolungatissime e partecipate.
Interpreti: Amfortas: Wolfgang Schöne; Titurel: Ulrich Dünnebach; Gurnemanz: Matthias Hölle; Parsifal: Ian Storey; Klingsor: Mikolaj Zalasinski; Kundry: Doris Soffel
Regia: Denis Krief
Scene: Denis Krief
Costumi: Denis Krief
Orchestra: Orchestra del Gran Teatro La Fenice
Direttore: Gabor Ötvös
Coro: Coro del Gran Teatro La Fenice
Maestro Coro: Emanuela Di Pietro