Novara Jazz, maggiorenne e galattica
Chiusura di festival memorabile con Ernst Reijseger, Alexander Hawkins e il debutto della European Galactic Orchestra
Secondo e ultimo weekend per Novara Jazz che festeggia i suoi diciotto anni con un'edizione ricca di appuntamenti, tutti (tranne uno) con centro di gravità European Galactic Orchestra, un nuovo ensemble che attraversa generazioni e paesi europei, nato da un'idea di Gabriele Mitelli, animatore anche del Ground Music Festival.
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Proprio le differenti articolazioni dei musicisti della European Galactic Orchestra, riuniti in mutevoli assetti, dal solo al trio, sino al quartetto (il meccanismo si è replicato, con formazioni differenti ma gli stessi interpreti, anche a Mantova per la tre giorni organizzata dall'associazione 4' 33'') sono state la peculiarità di quest'ultima tranche della rassegna, per la quale l'aggettivo "grande" non suonerà una tantum iperbolico né solo dettato da sopraggiunte ragioni anagrafiche.
Dislocata, come di consueto, in spazi abitualmente non deputati alla musica, secondo una felice idea che permette di scoprire luoghi più o meno nascosti della città, la nostra seconda puntata a Novara Jazz comincia sabato mattina con il solo di Ernst Reijseger nella Basilica di San Gaudenzio. Basta il primo tocco per riconoscere la voce inconfondibile del suo violoncello, la maestria nel giocare coi toni lunghi e le risonanze della chiesa, in una lunga teoria celeste che passa in rassegna le ombre di tutti i suoni che abbiamo ascoltato e che ascolteremo. Una sorta di indicibile musica sacra, arcaica e familiare, capace di farci tornare a un silenzio intatto e commosso, in una escursione nelle grotte psicologiche in cui siamo rinchiusi anche quando non lo sappiamo. Lo strumento diventa un corpo psicologico e sonoro che si denuda in inusitati scheletri blues dove affogano sassolini di Bach o vortici quasi hendrixiani e poi affiorano fossili di un imprendibile folk. L'aria limpidissima che abbiamo già respirato nelle musiche per le colonne sonore di Werner Herzog (eseguite l'anno scorso dal vivo al Ravenna Festival), vette siderali da raggiungere con gli occhi aperti verso dentro; poi lo strumento preparato diventa un bastone da rabdomante alla ricerca dell'acqua pura del suono, quasi una kalimba o un carillon degli abissi. Azione scenica, un repertorio di gesti che già gli conoscevamo ma che ogni volta emoziona, i virtuosismi di una fuga sempre più veloce (ci è venuto in mente il Glenn Gould di "So You Want to Write a Fugue") e lo stupore che si ripete ogni volta che assistiamo al concerto di un musicista semplicemente prodigioso.
Molto ispirato anche il pianista Alexander Hawkins al pomeriggio nel cortile di Casa Bossi; esordisce raccontando la gioia di aver avuto un corvo a fargli compagnia per tutto il soundcheck. Corrado Beldì, direttore artistico della rassegna con Riccardo Cigolotti, ricorda come il nostro abbia partecipato già 14(!) volte a Novara Jazz, ma come questa sia la prima in cui propone la sua musica in solo. Un'esplorazione dentro ai segreti del pianoforte in un clima di veglia sul registro grave, poi tornano in mente di nuovo i thumb piano imitati da Reijseger al mattino con i timbri cageani della cordiera preparata. Il Novecento è una nave che affonda, ed ecco allora affiorare l'ossessione materica di un George Crumb su uno spartito di uno studio di Chopin dato in mano a un'orchestra di pigmei; perché sarà la mancanza di immaginazione a ucciderci, ma fortunatamente questa musica è libera, selvatica e rigorosa, come ferro che arrugginisce al vento (Iron Into Wind si intitola il solo del musicista di Oxford su Intakt), e tra figure ritmiche e fasi à la Steve Reich o che rimandano al Gismonti di Folk Songs vediamo tutti i colori dell'orchestra annidati dentro il pianoforte di un musicista dal talento luminoso, capace di improvvisare con le campane e con gli uccelli citati in apertura, che tornano, attratti da un discorrere denso e lievissimo, meditato e naturale.
I due concerti dedicati al trio per la verità non sono memorabili: Tramontana-Holmlander-Borel (trombone, tuba e sax alto), a due passi da San Gaudenzio, nel cortile di Palazzo Faraggiana, tra ornitologia, riduzionismo, fanfare per guerrieri pacifici, richiami da caccia e ruggine di giostre non fanno scoccare la scintilla, e lo stesso accade il mattino dopo a Palazzo Natta per Rocher-Sely-Tilli (clarinetti, chitarra elettrica, violoncello), dove emerge comunque l'ottima verve del musicista italiano.
Magistrale invece il solo di John Edwards che fa letteralmente parlare il suo contrabbasso. Parafrasando Carver, di cosa parliamo quando parliamo di musica improvvisata? In questo caso di sinapsi che si accendono, di un pizzicato che solletica l'abisso, di metafore e storie che possono essere raccontate solo senza parole. In questi giorni ha destato scalpore la notizia riguardante il pescatore di aragoste Michael Packard, inghiottito da una balena al largo delle coste del Massachussets e miracolosamente sopravvissuto: mi piace pensare a questo solo come ad una versione acustica di quella (dis)avventura incredibile ed archetipica, con l'archetto perduto nel ventre della balena, le corde scordate e lo spavento dimenticato in un angolo remoto dell'oceano. Apparizioni, sparizioni, smarrimenti, rivelazioni, verità monumentali e passeggere, rivoluzioni cosmiche in un'unghia di luce e polvere. Un concerto indimenticabile, del quale non ricordiamo già subito dopo nemmeno un passaggio ma custodiamo il mood e un sapore sulla punta della lingua: la bellezza ineffabile dell'improvvisazione.
Chiude la prima assoluta della European Galactic Orchestra, nei magnifici giardini della canonica del Duomo: ai musicisti citati in precedenza (escludendo Reijseger) si aggiungono Calcagnile alla batteria, Delius al tenore, Locatelli ai clarinetti e il leader Mitelli alla cornetta: ecco allora una band di dodici elementi, con personale proveniente da cinque paesi (Francia, Olanda, Italia, Svezia, Inghilterra); sette fiati, violoncello, contrabbasso, pianoforte, chitarra elettrica e batteria. Ansia di futuro, sete di presente, languori saturnini, furori di swing cosmici, il jazz sudafricano, gli organici di largo respiro di Rob Mazurek, l'Africa di Phil Cohran, accenti da Nino Rota e orchestrazioni fluide e sinuose per un progetto potenzialmente esplosivo ma penalizzato da un'acustica complicata, che non ha permesso di godere a pieno dell'energia e del talento di tutti i musicisti.
Chiamiamole manovre di decollo: in questi giorni l'orchestra sarà in tour per lo stivale, non perdeteveli.
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