Nomi nuovi sulle Dolomiti
Logan Richardson e il suo quartetto per il festival trentino
Recensione
jazz
Un nome nuovo della scena americana ha spiccato nel cartellone del festival dolomitico, giunto alla diciassettesima edizione sotto la direzione artistica del batterista moenese Enrico Tommasini. Il contraltista Logan Richardson, nato a Kansas City nel 1980, trasferitosi a New York nel 2001 e al momento residente a Parigi, si ricollega ad un’ampia tradizione jazzistica recente, senza palesare però precedenti immediati e pedissequi di riferimento, se non forse Steve Coleman per la padronanza complessiva del linguaggio compositivo ed improvvisativo.
Fra i suoi original, basati su una strutturazione obliqua e non risaputa, sono risultati preferibili quelli su tempi medio-lenti, caratterizzati da evocativi impianti melodici, ritorte progressioni e dilatate conclusioni tese a smorzare il suono nel nulla. La sua concezione compositiva ha avviato sviluppi solistici conseguenti, poco aggressivi, attenti invece alle sfumature timbriche e dinamiche; la pronuncia sassofonistica, asprigna, venata di malinconia e dai moderati slanci lirici, ha perseguito fra l’altro il controllo assoluto dell’intonazione e del bassissimo volume.
Dei partner di Richardson, tutti giovani, motivati e coesi da un’interplay rilassato, più del titolato pianista Tony Tixier hanno sorpreso Joshua Ginsburg, per la ricca e rotonda pulsazione del suo contrabbasso, e soprattutto Tommy Crane, il cui drumming su ritmi spezzati ha espresso un personale sound nodoso e afono. In definitiva, il quartetto ha presentato un jazz attuale ma non estremo, lontano dagli automatismi canonici del mainstream come dai codici rarefatti e autoreferenziali dell’improvvisazione radicale, contraddistinto da una narrativa insinuante e consapevole, da una comunicativa austera senza essere mai scontrosa.
Interpreti: Logan Richardson: sax alto; Tony Tixier: piano; Joshua Ginsburg: contrabbasso; Tommy Crane: batteria.
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