Musica alla fine del mondo
I Godspeed You! Black Emperor dal vivo al Live Club di Trezzo d'Adda
Recensione
pop
Il buio incombe, è quasi minaccioso. Ombre rosse si muovono tra cavi e microfoni mentre le casse sfrigolano, si lamentano. Un mormorio cupo che è una sorta di invocazione, un inquietante rito preparatorio al cerimoniale che sta per compiersi. Entrano alla spicciolata i Godspeed You! Black Emperor, occupando uno a uno gli scranni sparpagliati sul palco del Live Club. I primi a sbucare dalle quinte sono Thierry Amar e Sophie Trudeau, contrabbasso e violino. Tocca a loro, a colpi di archetto, mettere fine alla straziante agonia dell'impianto audio. L'esordio è sospeso, quasi distaccato. Lamenti da un'altra dimensione, voci lontanissime distese su un bordone che buca i timpani (le orecchie di chi scrive fischieranno orgogliosamente per un paio di giorni). Poi, in un intrecciarsi di arpeggi scheletrici, tra sadiche pennate e feroci dissonanze, il flusso inizia ad addensarsi attorno alle chitarre di Efrim Menuck, Mike Moya e David Bryant. Finalmente una trama, un disegno. Il pulsare scomposto del basso elettrico segnala la presenza di Mauro Pezzente, una rullata quella di Aidan Girt e Bruce Cawdron dietro a piatti e tamburi. Ci siamo. La deflagrazione è tremenda. Nessun disco può anche solo lontanamente rendere l'idea della potenza del suono Godspeed. Non c'è scampo, non c'è redenzione. I cavalieri dell'apocalisse arrivati da Montréal galoppano a briglia sciolta. “Mladic”, brano d'apertura di [i]Allelujah! Don't Bend! Ascend![/i], penultima fatica dei canadesi, è il vertice dell'ora e quaranta di sabba infernale. Che nella seconda metà si concentra sui quattro pezzi del nuovo [i]Asunder, Sweet and Other Distress[/i]; fatti di crescendo wagneriani, nebulose in dilatazione, riff che strappano le budella. Musica totale, immensa, sconvolgente. Alla fine del mondo, alla fine dei tempi.
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