Momi e Schumann per Milano Musica
Prima esecuzione assoluta di Kinderszenen di Marco Momi con Mariangela Vacatello al pianoforte e la direzione di Michele Gamba
Un’attesa piena di curiosità ha preceduto il concerto intitolato Scene d'infanzia all’Auditorium di Milano, con la prima esecuzione assoluta di Kinderszenen per pianoforte, elettronica e orchestra del compositore perugino Marco Momi, coproduzione del Festival Milano Musica e dell'Orchestra Sinfonica di Milano e co-commissione del Festival insieme a Françoise e Jean-Philippe Billarant e La Biennale di Venezia, con la realizzazione informatica musicale curata dall’Ircam di Parigi.
Il filo che fin dal titolo lega il brano di Momi a Robert Schumann (le cui Kinderszenen per pianoforte, miniature di un mondo intimo e familiare, risalgono al 1838) si è dipanato ulteriormente nella seconda parte del concerto, con l’esecuzione della Prima Sinfonia La Primavera, composta da Schumann nel 1841.
La commistione di strumenti acustici e sonorità elettroacustiche non è di per sé cosa nuova, giacché molti compositori, di pari passo con gli sviluppi della tecnologia, l’hanno adoperata per espandere la tavolozza timbrica delle loro realizzazioni, e continuano a farlo. Kinderszenen ha la peculiarità di porre sullo stesso piano espressivo i tre attori in gioco: il pianoforte, l’orchestra e l’elettronica, senza servirsi per quest’ultima di artifici di spazializzazione, facendo cioè provenire dal palcoscenico l’intero amalgama sonoro. Il compositore ha scelto di addentrarsi, fin dall’origine del progetto, in un terreno semantico spinoso, perché la tradizione ha definito e circoscritto per ciascuno dei tre attori succitati consolidate abitudini di ascolto, difficili da modificare.
Ascoltando la musica, infatti, siamo soliti mettere in atto processi psicologici spontanei, nell’aspettarci un certo evento sonoro o nel riconoscerlo per averlo già incontrato altrove. Ciò avviene anche quando i parametri che ci sono familiari (melodia, armonia, ritmo, agogica) vengono disarticolati in contesti che non obbediscono alle leggi di costruzione tradizionali. In un brano di musica contemporanea, e ancor più di musica elettronica, il nostro orecchio privato dei riferimenti abituali va alla ricerca d’altro: bada al pieno e al vuoto; cerca di capire quale sia la figura e quale lo sfondo; vuole segnali che lo possano orientare.
Marco Momi spariglia ulteriormente le carte dichiarando nelle note al programma di aver inserito nel brano, oltre al riferimento schumanniano del titolo, un elemento di esplorazione sonora che riguarda l’infanzia, con duplice connotazione. Da una parte essa è il paradiso perduto a cui tornare, con nostalgia. Dall’altra è l’atteggiamento fanciullesco del mondo moderno, dove tutto si fa gioco e non si cresce mai. I corrispettivi sonori di questa dualità possono essere trovati nel modo in cui il brano procede, alternando impeto e delicatezza, grumi e fasce continue, sonorità sintetiche e richiami organici, fino al punto più suggestivo, nella porzione aurea, con l’evocazione di voci di bambini. Kinderszenen non risolve il dualismo, ma è un lavoro che fa riflettere e merita ulteriori ascolti, non potendo una sola esecuzione esaurirne le potenzialità espressive. A conferma di un campo non univoco di significazione, e in linea con il tema del Festival di quest’anno, L’ascolto inquieto, potremmo interpretare l’applauso generoso ma non vibrante di un pubblico pur avvezzo alla musica contemporanea, e le reazioni eterogenee dei compositori presenti.
Una particolare nota di merito va a Mariangela Vacatello, molto efficace nel rendere la parte pianistica, lucidissima nei momenti in cui la partitura ha imposto al suo strumento di essere in perfetta sincronia con gli strappi delle percussioni, dell’intera orchestra e della parte sintetica. Peccato solo che la scrittura pianistica, ricolma di rapidissimi impulsi, cellule smozzicate, cluster su tutti i registri della tastiera, interventi diretti sulle corde e qualche ingenuo glissando, non le abbia concesso la possibilità di mettere in risalto le sue doti espressive, che sono di prim’ordine. Davvero lodevole però che si sia prestata a un’operazione tanto impegnativa, a conferma del suo genuino interesse per la nuova musica.
La seconda parte del concerto è stata dedicata alla Sinfonia op. 38, prima delle quattro nel catalogo schumanniano, scritta di getto dopo anni dedicati quasi interamente alle composizioni per pianoforte. Schumann rinunciò all’iniziale intento programmatico, ma in una sua lettera è documentato il riferimento a un'ode alla primavera del poeta Adolf Böttiger. Il lavoro è pervaso dell’euforia che caratterizza il periodo appena successivo alle nozze con l’amata Clara Wieck, e per l’ottimismo che non si incupisce mai ha dato modo a Michele Gamba di imprimere all’orchestra una direzione franca e scorrevole, in cerca di sonorità turgide e dorate e della necessaria delicatezza dove la partitura invita alla contemplazione. Il giusto bilanciamento dopo l’irrequietudine che era stata il lascito della prima parte del concerto.
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