Madness sotto la pioggia, la serata perfetta
Dopo trentotto anni i Madness tornano a Torino, ma la voglia di divertirsi è rimasta immutata
“Hey you, don’t watch that, watch this, this is the heavy heavy monster sound, the nuttiest sound around”: era il 1979 e trentanove anni dopo in più di duemila abbiamo risposto al richiamo del gruppo originario di Camden, quartiere nel nord di Londra. I Madness vennero a Torino una prima volta nell’ottobre del 1980: apertura coi Lambrettas, gruppo mod revival di Brighton, concerto tiratissimo dei Nutty Boys (il soprannome dei Madness) e carica della polizia dentro il catino del Palasport. Insomma, quando hai vent’anni, la serata perfetta.
I Madness sono il gruppo londinese per eccellenza, formatosi con altro nome nel 1976 e cresciuto ascoltando la musica portata dagli immigrati caraibici (ska, rocksteady e reggae), il pub rock e il northern soul, il mix classico del proletariato bianco delle periferie. E le storie delle periferie di quel periodo sono lo spunto per i testi delle loro canzoni: il pub, le case troppo affollate e rumorose, i rapporti turbolenti col vicinato, la vita di strada, le storie d’amore infelici, gli amici sempre presenti nel momento del bisogno, la voglia di divertirsi.
«I Madness vennero a Torino una prima volta nell’ottobre del 1980: apertura coi Lambrettas, concerto tiratissimo e carica della polizia dentro il catino del Palasport. Insomma, quando hai vent’anni, la serata perfetta».
E il divertimento è la costante dei concerti dei Madness: l’altra sera, sotto la pioggia puntualmente arrivata in concomitanza del concerto, la gente ha ballato, cantato, bevuto (eh sì…), come se stesse partecipando a una festa in compagnia di vecchi amici. Mi aspettavo un gruppo bollito e invece il tiro c’è ancora e allora giù a cantare “My Girl”, “Our House” e “Embarrassment”, a muovere passi di ska con “Baggy Trousers” e “Madness”, la canzone di Prince Buster che ha dato origine al nome del gruppo, a commuoversi con “It Must Be Love”, la preferita del pubblico femminile.
Il pubblico è zuppo d’acqua ma chi se frega, è il turno di “Chase The Devil”, il brano di Lee Perry portato al successo da Max Romeo, in una versione da pub con qualche pretesa, di quelli con annessa ballroom. I Madness sanno come intrattenere il pubblico e lo fanno con quell’umorismo britannico che ho sempre apprezzato, senza prendersi troppo sul serio e senza scivoloni volgari.
Anni fa la rivista Rolling Stone li definì “i Blues Brothers con l’accento inglese”: una cattiveria gratuita, smentita da una carriera di tutto rispetto e ricca di episodi musicali che negli anni Novanta hanno influenzato certo Britpop.
L’estate (anche se piovosa), gli amici, le birre, le canzoni: a distanza di trentotto anni i Madness regalano un’altra serata perfetta.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Ai Docks di Losanna la musica resistente dei veterani Godspeed You! Black Emperor
Il cantautore friulano presenta in concerto l’album d’esordio Hrudja
Un grande live al nuovo Jumeaux Jazz Club di Losanna (con il dubbio che a Bombino lo status di condottiero tuareg cominci a pesare)