L’intensa anima musicale di Butterfly
A Piacenza la stagione d’opera si apre con successo con una Madama Butterfly dall’efficace segno musicale
Alla fine dell’anno in cui si è celebrato il centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, il Teatro Municipale di Piacenza ha inaugurato la sua stagione d’opera 2024-2025 rendendo omaggio al compositore di Lucca attraverso un nuovo allestimento della Madama Butterfly. Delle due date disponibili di questo nuovo allestimento – realizzato in coproduzione con il Teatro Comunale di Ferrara – abbiamo seguito quella di domenica 22 dicembre, giorno tra l’altro del compleanno dello stesso Puccini. Una coincidenza, certo, ma che completa simbolicamente la soddisfazione di aver seguito una proposta che è riuscita a offrire una lettura musicale davvero efficace di una delle opere pucciniane più conosciute e amate.
Un lavoro, quello che connota quest’opera, generato da un travaglio che possiamo definire non proprio lineare e che accomuna da un lato un intreccio narrativo palesemente articolato – tratto da Puccini e dai librettisti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica da un lavoro del drammaturgo statunitense David Belasco – e, dall’altro lato, uno sviluppo strutturale che parte da impianto di teatro musicale di due atti proposto senza successo in occasione del debutto alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904 per arrivare ai tre atti ormai d’ordinanza.
In verità, chi scrive tende a riconoscere una più funzionale logica drammatica e drammaturgica nella primigenia divisione in due atti, se non addirittura riconducendo l’originario primo atto a una sorta di (lungo) preludio funzionale a un successivo atto unico, quest’ultimo caratterizzato da una cifra musicale di qualità più organica e pregnante. Velleità fantasiose, lo sappiamo, pronte a essere frantumate dalle bordate della musicologia e della filologia operistica più ortodosse e intransigenti, ma che – con buona pace dei sacerdoti delle citate discipline – ci sono state riconfermate anche dalla lettura della Madama Butterfly offerta in questa occasione.
Districandosi con attento equilibrio tra i lievi tratteggi contrappuntistici e i grumi armonici dell’orchestra da una parte e, dall’altra, tra gli orditi discorsivi intervallati alle ampie tessiture melodico-vocali del palcoscenico, Matteo Beltrami ha infatti disegnato un’interpretazione musicale al tempo stesso rispettosa e palesemente efficace dell’opera pucciniana, restituendone una lettura funzionale anche grazie al passaggio senza soluzione di continuità tra il secondo e il terzo atto. In questo senso, tra i momenti più efficaci abbiamo ritrovato il coro a bocca chiusa che suggella il secondo atto – con bella prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati – suggestivo ed estatico viatico al precipitare drammatico che matura nella parte finale dell’opera.
Una direzione, quella di Beltrami, che oltre a guidare con sostanziale ed efficiente equilibrio l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, ha saputo assecondare e valorizzare il segno interpretativo di Claudia Pavone, al debutto italiano nel ruolo protagonista, capace di restituire una Cio-Cio-San vocalmente fluida ed espressiva, ben aderente all’evoluzione del personaggio. Al suo fianco Angelo Villari nei panni di un Pinkerton vocalmente generoso e giustamente antipatico, oltre al bravo Alessandro Luongo che ha restituito un’ottima prova con il suo Sharpless dal segno vocale solido e dal tratteggio interpretativo nobile e variato. Hanno completato il cast, oltre all’efficace impegno di Irene Savignano nei panni di Suzuki, Eva Corbetta (Kate Pinkerton), Manuel Pierattelli (Goro), Giacomo Leone (Il principe Yamadori), Mattia Denti (Lo zio Bonzo), Eugenio Maria Degiacomi (Yakusidé), Fabrizio Brancaccio (Il commissario imperiale).
La regia di Leo Nucci (assistente alla regia Riccardo Buscarini) nelle intenzioni voleva proporre una lettura distante da un folclore giapponese da cartolina, ma sul palcoscenico ha offerto una rappresentazione didascalica se non calligrafica dell’opera pucciniana, alimentata dai riferimenti simbolici – cerchio zen, arco Torii, ecc. – delle scenografie di Carlo Centolavigna (assistente alle scene Francesca Nieddu), dai funzionali costumi (esistono kimono un poco più originali e vivaci, in verità) di Artemio Cabassi e dalle efficienti luci di Michele Cremona.
Un pubblico da tutto esaurito ha tributato un pieno successo allo spettacolo e a tutti gli artisti impegnati, con un caloroso e meritato riconoscimento personale nei confronti della Butterfly di Claudia Pavone.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Al Teatro Sociale di Rovigo va in scena La voix humaine e a Padova l’OPV propone L’histoire de Babar
A Santa Cecilia, all’Opera e al Teatro Olimpico tre diverse edizioni del balletto di Čajkovskij