Liegi applaude i Puritani
Speranza Scappucci dirige per la prima volta l’opera di Bellini
I Puritani è una di quelle opere dove le voci sono tutto e la messa in scena si conferma sempre essere solo una cornice veramente non molto importante. L’ennesima prova a Liegi, dove il nuovo allestimento firmato Vincent Boussard, in coproduzione con l’Opera di Francoforte, per quanto affascinante, ma con scelte registiche non facili da comprendere soprattuto nel finale, è passato subito in secondo piano di fronte alla bellezza delle voci dei protagonisti che hanno catturato tutta l’attenzione, perfetti Lawrence Brownlee come Arturo e Zuzana Marková come Elvira, altrettanto ben scelto Mario Cassi nei panni di Riccardo, bravo in generale tutto il cast e pure il coro. E come al solito, la direzione di Speranza Scappucci si è fatta notare subito per idee chiare e precisione d’esecuzione della versione senza alcun taglio del lavoro di Bellini, in particolare con forti squillanti ma sopratutto estremamente toccante nei duetti e terzetti dove ha mostrato grandissima sensibilità confermandosi una raffinata direttore d’orchestra belliniana capace di esaltare al massimo le note essenziali scritte dal maestro e far vivere le emozioni estremamente romantiche dell’opera nel modo più profondo possibile. La scelta della versione integrale, resa possibile dal livello del cast, ha consentito al regista di avere musica per aggiungere storia alla storia, realizzando una sorta di omaggio a Bellini e alla sua natia Sicilia, con al centro della scena la tomba dello stesso compositore e tutto intorno i palchi di un teatro in rovina. Scena che costringe i cantanti ad andare su e giù per delle poco agevoli scale, ma che aiuta molto nell’atto finale a mettere su piani diversi Lawrence Brownlee e Zuzana Marková e quindi a non rimarcare la loro differenza di statura. C’è anche la proiezione dell’eruzione di un vulcano, si suppone l’Etna, ma pure una dama nera muta che dopo aver vagato per tutti gli atti alla fine muore, mentre Arturo ucciso da Elvira risuscita, idee che per la verità aggiungono poco. Così come sfugge il motivo per cui il regista ha deciso così spesso di mettere i protagonisti a cantare distesi per terra o sul pianoforte piazzato sul palcoscenico, comunque tutto questo passa davvero in secondo piano di fronte ad un’esecuzione così godibile da un punto di vista musicale. Il primo ad emozionare con la sua bella voce è Mario Cassi, un baritono sempre più nobile, solo inizialmente un po’ teso e lento nella cavatina, chiaramente vuole fare bene e controlla l’emissione, ma che presto si scioglie sopratutto con l’arrivo di Elvira, una Marková davvero nata per la parte, sia da un punto di vista scenico che vocale, agile ed insieme drammatica quanto basta per l’impervia partitura e per rendere credibile la follia di una giovane innamorata che si crede tradita e abbandonata. Grande attesa per il tenore americano Lawrence Brownlee, preceduto dalla sua fama, capace di eseguire il famoso acuto dell’aria di Arturo nel terzo atto “Credeasi misera” come fa naturale non in falsetto. Brownlee canta tutte le note con una naturalezza sorprendente, quell’apparente facilità d’esecuzione che è solo degli artisti più talentuosi, la sua voce si fonde meravigliosamente con quello della Marková nei duetti, mostra doti notevoli anche interpretative e ci si può solo augurare di sentirlo cantare più spesso in Europa. Tra gli altri interpreti, il basso Luca Dall’Amico è un solido Sir Giorgio, e il mezzosoprano Alexise Yerna un’elegante Enrichetta. I bei costumi, infine, sono firmati dallo stilista Christian Lacroix e si fanno notare, con gli uomini in cappello a cilindro e le signore in abiti di grande effetto.
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