Le due anime degli Yo La Tengo
La band del New Jersey torna in Italia per presentare il nuovo disco
Recensione
pop
Una prima parte interamente acustica, una seconda interamente elettrica: sembra la descrizione di un disco di Neil Young degli anni Settanta, invece è, in estrema sintesi, quanto il pubblico milanese del LimeLight si è trovato di fronte in occasione dell'attesissimo ritorno dal vivo in Italia degli Yo La Tengo, per il tour del nuovo album [i]Fade[/i], il tredicesimo della loro carriera. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l'indie rock sa bene che la band del New Jersey è la quintessenza di ciò che questo (non)genere ha saputo dare negli ultimi vent'anni in termini di immediatezza, di orecchiabilità, ma anche di rigore e di assoluta lontananza da ogni compromesso artistico e commerciale. Le aspettative, dunque, sono sempre altissime. Mantenute nel live milanese? Solo in parte. Se la prima metà dell'esibizione ha forse battuto alcuni record, per quanto riguarda i concerti in ambito rock (nelle insolite categorie "Minor numero di decibel", "Minor numero di note suonate" e "Maggior numero di persone assorte ad ascoltare in religioso silenzio"), esaltando l'anima intimista di Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew, la seconda si è invece spostata su terreni decisamente più elettrici, con frequenti e potenti incursioni in ambito noise.
L'impressione è che, nonostante l'indiscutibile qualità dei brani e la perfetta alchimia del trio (curiosamente "incorniciato" da una scenografia naïf e minimale composta da tre soli alberelli in compensato), una soluzione mediana capace di amalgamare le due anime degli Yo La Tengo avrebbe forse giovato a una serata che ha provocato qualche sbadiglio all'inizio e qualche mal di testa alla fine. Un motivo d'altronde ci sarà, se il momento più emozionante del concerto è stata l'esplosione di dolcezza dell'ultimo bis, una splendida cover di Gene Clark ("Tried So Hard") esaltata proprio dal contrasto derivante con le precedenti cavalcate elettriche.
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