Le celebrazioni romane per i trecentocinquanta anni dalla morte di Carissimi
I poco noti mottetti e i semisconosciuti versetti diretti da Flavio Colusso a Sant’Apollinare, dove Carissimi fu maestro di cappella per quasi mezzo secolo
Giacomo Carissimi nacque a Marino, a pochi chilometri da Roma, e morì a Roma nel 1674, trecentocinquanta anni fa, eppure quasi nessuno a Roma o altrove si è ricordato di quest’anniversario. A consentirci di premettere un consolatorio “quasi” a “nessuno” è Flavio Colusso, un paladino della musica di Carissimi, di cui ha inciso nel 1996 tutti gli oratori in nove cd e nel 2014 la raccolta di mottetti “Arion Romanus” in 3 cd. Dopo aver anticipato quest’anniversario alla fine del 2023 con l’esecuzione di due oratori Colusso sta ora svolgendo un interessantissimo ciclo di incontri e concerti, la cui sede non unica ma privilegiata è la basilica di Sant’Apollinare annessa al collegio Germanico-Ungarico, dove Carissimi è stato maestro di cappella per ben quarantacinque anni.
Il concerto di cui qui si riferisce rivolgeva l’attenzione ai mottetti, un settore meno noto della musica di Carissimi. Non soltanto li riportava nel luogo in cui erano stati concepiti ma anche - poiché “la musica non è adornamento del rito, ma è parte del rito stesso”, come afferma Colusso stesso - ricreava l’atmosfera spirituale in cui erano eseguiti all’epoca, intervallandoli con la lettura di alcuni brevi brani delle prediche di Paolo Segneri, scelti tra quelli che trattano di argomenti non strettamente catechistici, per esempio i corpi celesti, rispetto ai quali il padre gesuita si dimostra ben informato delle scoperte scientifiche dell’epoca.
I tre mottetti prescelti da Colusso erano per due voci di soprano (ovviamente in origine erano dei castrati, ora sostituiti dalle ottime Maria Chiara Chizzoni e Valentina Varriale) e basso continuo. Qui, come nei suoi oratori, Carissimi dava molta importanza all’espressione degli affetti e alla teatralità delle situazioni, guardando al nascente teatro musicale. Ne citiamo due a titolo di esempio. Il gaudio di “Laudemus virum gloriosum” si manifesta in fioriti passaggi solistici alternati a vivaci e liete inserzioni di contrappunto a due voci, scostandosi decisamente dal sapiente e sterile accademismo in cui si era rifugiata la polifonia in quegli anni. In “O dulcissime Jesu” invece prevale un semplice, melodico e affettuoso canto spianato, quasi un duetto d’amore spirituale.
Per la grande maggioranza se non per la totalità del pubblico sono stati una scoperta i tre “Versetti secondo gli otto toni regolari”, eseguiti in alternanza ai mottetti. Sono tratti dal trattato “Ars Cantandi” e la sua destinazione non è precisata ma la più adeguata è indubbiamente l’organo. Sebbene siano brevi e relativamente semplici - in particolare non riservano grandi sorprese dal punto di vista armonico - sono assolutamente degni di stare accanto alla musica organistica composta, sempre a Roma, da Girolamo Frescobaldi. Li ha eseguiti come meglio non si potrebbe uno specialista delle tastiere antiche qual è Andrea Coen. Ma Carissimi ne ha scritti settantuno e siamo rimasti col desiderio di conoscere anche gli altri sessantotto.
Non si è ascoltata solo musica di Carissimi. Il concerto infatti iniziava e finiva con Frescobaldi, di cui si sono ascoltate musiche per la liturgia, mentre oggi siamo abituati ad ascoltare la sua musica “pura”, prescindendo dalla loro destinazione originaria. All’inizio del concerto “Sancta Maria ora pro nobis” per organo, a cui Frescobaldi stesso chiedeva di unire il canto della corrispondente litania mariana. E alla fine il “Magnificat primi toni”, con i versetti organistici che si alternavano al canto del Magnificat gregoriano. Che si sia o non si sia credenti, quest’alternanza, che potrebbe sembrare una contaminazione, è molto suggestiva e non depaupera ma aggiunge qualcosa alla musica.
Completava il programma “Quid agis cor meum”, composto dallo stesso Colusso su un testo già usato da Carissimi per un suo mottetto: è una musica assolutamente apprezzabile, che chiaramente si ispira a Carissimi ma lo trasporta in un linguaggio moderno che potremo definire neoclassico, evitando di risolversi un’inutile imitazione ma anzi dando un esempio di come potrebbe essere la musica liturgica del nostro tempo, se la si volesse risollevare dalle nenie in stile pop, magari con una generica spolverata di modalità antica, a cui si è ridotta.
È doveroso ricordare gli altri interpreti: innanzitutto il fondamentale apporto di Andrea Damiani alla tiorba ma anche le voci di Silvia De Palma, Luca Polidoro e Fabrizio Di Bernardo. E naturalmente Flavio Colusso, che dirigeva e sedeva al clavicembalo e che - come è implicito in quel che si è scritto nelle precedenti righe - è stato il principale artefice della riscoperta di queste musiche e della loro impeccabile esecuzione.
Sarà interessante sentire domenica 21 aprile alle 10 in Santa Maria dell’Anima la cappella musicale di quella chiesa diretta da Flavio Colusso: per il proprium si ascolteranno alcuni mottetti di Carissimi e per l’ordinarium la Messa “Non sine quare” di Johann Caspar Kerll, che studiò a Roma con Carissimi e ne propagò la musica nella parte cattolica della Germania e anche in quella luterana, tanto che Bach rielaborò alcune sue musiche e Haendel ne citò quasi letteralmente alcune parti.
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