La voce libera del Trovatore
Al Teatro Pergolesi di Jesi con la regia di Valentina Carrasco
Cruda e travolta da un destino ineluttabile, la storia del Trovatore: negli incubi, vendette, amori violenti, nelle lotte fratricide la regista Valentina Carrasco ha trovato un’assonanza con il periodo più tetro della recente storia italiana, ambientando l’opera verdiana alla fine del ventennio fascista. Così Manrico, artista indipendente dalla vita nomade e dalle origini oscure, cantore d’amore ma anche dei fatti del proprio tempo, diviene un giornalista clandestino contrario all’ordine costituito e simpatizzante dei partigiani, mentre il conte è un freddo gerarca fascista che dirige il ministero della propaganda. L’odio tra i due fratelli che non sanno di esserlo diviene quindi quello tra persone appartenenti allo stesso popolo, diviso da ideali politici e culturali come avvenne in Italia durante l’ultima guerra. E sono le immagini della seconda guerra mondiale che animano le pagine di giornale dove la censura è sempre più invadente e che costituiscono la scenografia fissa dello spettacolo: bombardamenti aerei, cimiteri militari, cadaveri, sevizie su uomini e donne che divengono metafora delle azioni persecutorie nei confronti della zingara. Attualizzazione del libretto che si può condividere o no, e che nasce dalla volontà della regista di «avvicinare l’argomento dell’opera ad una realtà più vicina alla nostra»: inevitabili gli attriti tra le parole che i personaggi pronunciano e il modo in cui poi agiscono; solo nel coro “Squilli, echeggi la tromba guerriera” all’inizio della terza parte le scelte lessicali del libretto (la chiamata all’armi, la certezza della vittoria, dell’onore e della gloria e perfino la bandiera!) hanno creato una davvero singolare convergenza con i testi delle canzoni della propaganda fascista. Di bell’effetto la scelta delle luci, anch’esse curate dalla Carrasco, che hanno valorizzato i costumi di Elena Cicorella, tutti nei toni del bianco-grigio-nero, come le scene di Giada Abiendi, e che hanno conferito ai momenti corali effetti di chiaroscuro di valenza pittorica.
Proprio le nuances si sarebbero volute invece di più nell’interpretazione musicale, che è stata travolta dall’impeto della direzione di Sebastiano Rolli; veemenza giustificata dalle tinte fosche della vicenda rappresentata, certo, ma che non ha messo in risalto appieno le mille inflessioni della partitura e che alla fine ha influenzato anche l’interpretazione del cast vocale. Molto espressiva e drammatica sia nella gestualità che vocalmente è stata la Azucena di Silvia Beltrami; agile e sicura nella difficile parte di Leonora Marta Torbidoni. Sul versante maschile Ivan Defabiani in Manrico si è distinto per la voce solida e di bel timbro; apprezzabili anche Simone Alberghini nel Conte di Luna e Carlo Malinverno in Ferrando.
L’orchestra era la FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana, accanto al coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno.
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