La favola dello zarevic’ autistico
Grande successo a Strasburgo per “La favola dello zar Saltan” di Rimskij Korsakov nel riuscito allestimento di Dmitri Tcherniakov
Le favole, si sa, hanno sempre diversi livelli di lettura e talvolta possono servire come veicolo di verità altrimenti difficilmente comunicabili. O magari sono davvero l’unico modo per comunicare come accade a mamma Militrisa con il figlio autistico Gvidon. “Solo le favole sono reali per lui”, spiega Militrisa al pubblico in un breve prologo parlato (in russo) prima che la fanfara dia inizio all’opera. Chissà se è successo veramente per il rigetto del padre, quando ancora quel bambino era in fasce. La sofferenza indubbiamente c’è ed è profonda, come denunciano quei tic che scuotono di continuo il suo corpo e quella sua impossibilità a guardare in faccia il mondo. Mamma Militrisa, che, in solitudine, l’ha aiutato a crescere, è il suo unico legame con quel mondo, conosciuto solo attraverso le favole. Fra queste, c’è anche quella dello zar Saltan, che, ingannato mentre è in guerra dalla malvagia Babaricha in combutta con la cuoca Povaricha e la tessitrice Tkačicha, ordina che la zarina e il figlio appena nato, descrittogli come un mostro, vengano gettati in mare chiusi in una botte. Miracolosamente sopravvissuti al mare, madre e figlio si ritrovano su un’isola deserta dove passano diversi anni prima che, ormai adolescente, il ragazzo uccida per caso un mago dalle sembianze di falco predatore liberando la principessa cigno e rompendo il sortilegio che teneva celata la meravigliosa città di Ledenec, i cui operosi abitanti lo acclamano come nuovo zar. Attraverso questa narrazione fantastica, nella quale Gvidon si identifica con il giovane eroe protagonista e i fantasmagorici personaggi non sono altro che i suoi giocattoli che prendono vita nella sua fantasia, mamma Militrisa prova a ricucire un filo spezzato con quella paternità rifiutata e a dare un futuro migliore al figlio. L’esito, tuttavia, sarà imprevedibile e lancinante e non un happy end.
Si sviluppa su questo doppio livello di lettura l’allestimento di Dmitri Tcherniakov dell’opera La favola dello zar Saltan di Nikolaj Rimskij-Korsakov approdato con grande successo all’Opéra national du Rhin di Strasburgo, quattro anni dopo il battesimo brussellese dello spettacolo e ripresa in maniera fedelissima da Joël Lauwers. Spesso artefice di spettacoli insensati prima ancora che provocatori, questa volta Tcherniakov centra l’obiettivo con questo allestimento nel quale tutti le diverse componenti della narrazione trovano un ferreo e coerente fondamento drammaturgico. Il contrasto fra la triste realtà di Militrisa e Gvidon e la dimensione puramente psichica della favola è ben sottolineato da una scena praticamente vuota concepita dallo stesso Tcherniakov, dove i personaggi sono schiacciati sul proscenio dal sipario tagliafuoco nel prologo e primo atto e quindi da uno schermo sul quale vengono proiettare le visioni fantastiche, che prendono spesso vita dai disegni di Gvidon (le fantastiche proiezioni sono di Gleb Filshtinsky), integrate con quadretti surreali in un affascinante gioco di specchi. A questo si aggiunge il bellissimo lavoro sui costumi di Elena Zaytseva, di spenta attualità per Gvidone e Militrissa e per tutti gli altri quando la favola lascia spazio alla realtà, e fantasmagorici nelle forme e nei colori, che sembrano dati con colpi di pennarello, per i numerosi personaggi della favola dello zar Saltan, un omaggio alle illustrazioni di Ivan Bilibin del 1905 per il racconto di Puškin alla base dell’ispirazione di Rimskij-Korsakov e del libretto di Vladimir Bel’skij.
A Strasburgo si ritrovano i due straordinari protagonisti Bogdan Volkov come Gvidon, impressionante nell’immedesimazione anche fisica nell’alfabeto di gesti spesso scomposti voluta da Tchnerniakov ma anche interprete vocale commovente nella sottile malinconia che attraversa il suo canto, niente affatto eroico, e Tatiana Pavlovskaya, una Militrisa compassionevole come può esserlo una madre davanti alla fragilità del proprio figlio, anche nella dolente dolcezza del canto. Molto riuscite anche le prove degli altri interpreti, a partire dalla malvagissima quanto espressiva Babaricha di Carole Wilson e dalle due zie malefiche Stine Marie Fischer, la tessitrice, e Bernarda Bobro, la cuoca, rese con grande divertimento. Julia Muzychenko è un’incantevole principessa cigno che ha la grazia delicata della giovinezza, mentre Ante Jerkunica è uno zar Saltan di solenne gravità anche vocale. Riuscite anche le prove soprattutto sceniche di Evgeny Akimov, il vecchio, di Ivan Thirion, il messaggero dello zar tutto da ridere, e di Alexander Vassiliev, il buffone, e tutti e tre anche marinai di Ledenec. Ottima la prova del Coro dell’Opéra national du Rhin molto partecipe anche nell’azione scenica.
Se la favola dello zar Saltan continua ad incantare anche il pubblico di oggi lo si deve anche e soprattutto all’incanto della preziosa partitura di Rimskij-Korsakov, generosa anche di pagine sinfoniche, che l’Orchestre philharmonique de Strasbourg rende in tutta la straordinaria varietà di colori e di umori grazie all’energica direzione di Aziz Shokhakimov, giovane direttore dal gesto eloquente e dal gusto infallibile.
Serata davvero felice salutata con grande entusiasmo dal folto pubblico presente, che ha festeggiato tutti gli interpreti, compreso Tcherniakov presente in sala, con una decina di minuti di applausi (anche ritmati) e numerose chiamate.
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