Kavakos e Noseda per le celebrazioni beethoveniane
A S. Cecilia una bellissima interpretazione del Concerto per violino di Beethoven, poi la rara Sinfonia n. 3 di Čajkovskij
Per il duecentocinquantesimo anniversario di Beethoven Leonidas Kavakos eseguirà tutta la sua musica per violino all’Accademia di Santa Cecilia. Ha iniziato a gennaio con il primo di tre concerti in duo con Enrico Pace, dedicati all’integrale delle Sonate per violino e pianoforte, che il giorno dopo hanno portato anche a Parma: in quell’occasione la recensione del Giornale della Musica https://www.giornaledellamusica.it/recensioni/lintensita-di-beethoven-secondo-kavakos-e-pace, metteva in evidenza la “articolata indagine interpretativa” di Kavakos. In effetti il violinista greco trovava per ogni frase l’inflessione giusta, con una varietà di fraseggio, di colori e di dinamiche semplicemente fenomenale, che con altri interpreti avrebbe potuto sfiorare l’autocompiacimento, ma che nel suo caso era in funzione di uno scavo tra le pieghe di queste sonate guidato da musicalità, sensibilità e intelligenza straordinarie.
La conferma di queste qualità di Kavakos è venuta dal fatto che ha cambiato totalmente approccio ad un brano profondamente diverso qual è il Concerto op. 61, che – specialmente nei primi due movimenti – si spande in larghe arcate, spingendosi in direzione di un bellezza immateriale e priva di peso, tanto che il tempo sembra quasi fermarsi: si pensi al lungo, incantato passaggio in trilli del violino al centro del primo movimento, che anticipa la smaterializzazione del suono di analoghi passaggi degli ultimi quartetti. Beethoven non si stanca mai di chiedere dolcezza (l’indicazione “dolce” ritorna almeno ottanta volte in questa partitura) e Kavakos gli ha obbedito, scegliendo tempi distesi e sereni e trovando sonorità eteree e purissime (appena un paio di note stridule nel settore più acuto del registro del violino, su cui Beethoven insiste particolarmente) ma anche capaci di arrivare con pienezza di timbro in ogni angolo dell’immensa sala.
Nell’intervallo gli ascoltatori più attenti discutevano accesamente a proposito delle cadenze suonate da Kavakos. Generalmente si eseguono quelle di Kreisler, perché Beethoven non ne ha scritte. Però ha scritto quattro cadenze per la trascrizione per pianoforte di questo concerto commissionatagli da Muzio Clementi, che a metà del Novecento furono a loro volte trascritte dall’illustre violinista austriaco Wolfgang Schneiderhan per il suo strumento: sono queste le cadenze scelte da Kavakos. Forse è la soluzione più fedele a Beethoven (ma fino a un certo punto, perché nel passaggio da uno strumento polifonico come il pianoforte a uno strumento essenzialmente monodico come il violino molte cose cambiano inevitabilmente) però personalmente le ho trovate lunghe e piuttosto esteriori. La scelta di Kavakos è comunque più che legittima e di certo non sminuisce la bellezza della sua interpretazione.
L’orchestra, diretta da Gianandrea Noseda intesseva con il violino uno splendido dialogo, intimo, delicato e profondo nelle sezioni di accompagnamento, mentre era nettamente più vigorosa nelle sezioni puramente orchestrali, quando Beethoven chiede effettivamente sonorità più piene, che devono comunque sempre evitare toni drammatici o magniloquenti più consoni all’Eroica o alla Quinta Sinfonia.
Nella seconda parte Noseda ha diretto la Sinfonia n. 3 op. 29 “Polacca” di Čajkovskij, rarissima, tanto che l’orchestra romana non l’aveva mai – dico mai – eseguita e a Santa Cecilia la si era ascoltata una sola volta, ma con un’orchestra russa. È molto diversa dalle altre cinque sinfonie di Čajkovskij: è l’unica in tonalità maggiore, è in cinque movimenti, ha spesso vivaci ritmi di danza e, più in generale, manifesta un entusiasmo, una fiducia in se stesso e una gioia di far musica che sono all’opposto delle successive e più celebri sorelle. Noseda, che da giovane ha lavorato per anni a San Pietroburgo e che anche ora torna spesso in Russia, ha acquisito una passione e una comprensione per Čajkovskij che ricordano alcuni grandi direttori russi, capaci di gettarsi anima e corpo in questa musica senza però mai apparire enfatici e retorici. Ha fatto apparire bellissima questa sinfonia sempre trascurata (tanto che vorremmo riascoltarla in un’interpretazione meno entusiasmante, per vedere se era tutto merito del direttore o se è effettivamente così bella) e ha riscosso un mare di applausi dal folto pubblico, che prima era andato giustamente in visibilio per Kavakos, che ha ricambiato con un bis bachiano.
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