JazzMadrid, il punto sulla scena spagnola
Si è concluso JazzMadrid 2020, che ha raccontato il jazz della Spagna di oggi
Alla fine fu Martirio a chiudere trionfalmente Jazzmadrid 2020, icona simbolica della movida madrilena degli anni ’80: María Isabel Quiñones, in arte Martirio e il pianista Chano Dominguez hanno infatti reso un omaggio, dal raffinato sapore vintage, al cantante, compositore e pianista cubano, vissuto a metà del Novecento, Bola de Nieve.
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Un repertorio di canzoni dove le atmosfere latine, afrocubane si mescolano ad inflessioni del canto flamenco, con la voce dai toni caldi di Martirio, magistralmente accompagnata da un pianista del calibro di Dominguez. Il quale, con un pianismo a tutto tondo, riesce a preludiare e inserirsi nel canto, con grande fantasia tematica e con disegni di rara precisione, sapendo fondere stilemi e armonie che, partendo dalle più semplici e tradizionali, dell’impianto originale delle canzoni, vengono colorandosi di atmosfere flamenche, jazzistiche finanche classiche. Martirio interpreta con gusto e passione, sempre con il suo look che l’ha resa celebre – postmoderno ossimoro vivente – con il tradizionale pettine tra i capelli tipico della Spagna profonda (che a noi ricorda Lucia Mondella) e gli immancabili occhiali da sole: sa abilmente intrattenere e coinvolgere il pubblico, con humour e passione, perfettamente a proprio agio come in un’atmosfera di casa.
E in questa edizione di JazzMadrid, che ha attraversato tutto il mese di novembre con più concerti ogni giorno, conferenze, laboratori, tale sensazione di vedere musicisti che si trovavano come a respirare un’aria di casa, l’abbiamo vista frequentemente: sì, perché, salvo qualche rara eccezione, è stato un festival tutto spagnolo, prevalentemente autoctono; per far fronte così alle difficoltà organizzative, legate alle trasferte in tempo di pandemia e, secondo quanto afferma la direzione artistica, per una esigenza «etica», di venire incontro ai musicisti locali, trovatisi per la maggior parte senza possibilità di lavoro. Anche se bisogna dire che in Spagna, per lo meno, i teatri e le sale da concerto, così come i cinema, in cui è possibile un distanziamento, restano aperti.
Anche se bisogna dire che in Spagna, per lo meno, i teatri e le sale da concerto, così come i cinema, in cui è possibile un distanziamento, restano aperti.
Un’occasione questa per presentare in maniera articolata una rassegna e una serie di tendenze che hanno in qualche modo caratterizzato lo sviluppo e gli approcci al linguaggio jazzistico qui in Spagna. In effetti la programmazione del festival ha saputo presentare un ventaglio di tendenze estremamente ampio e articolato, tutte operazioni e progetti consolidati e di artisti del panorama nazionale anche con aperture a giovani proposte. E se il ventaglio delle fusioni e delle contaminazioni che attraversano questo scenario è abbastanza vasto, per certo l’elemento che maggiormente si è fatto sentire, a marcare una sorta di marchio d’origine, è stato il cosiddetto jazz flamenco, molto spesso mescolato a elementi latini, come abbiamo potuto vedere con Chano Dominguez e Martirio. Così ad esempio anche nell’esplosivo concerto del nutrito ensemble messo su per l’occasione dal batterista Tino di Geraldo, dove elementi di latin jazz si mescolavano ad momenti rock e aperture ad armonie flamenche, con gli interventi del flautista Jorge Pardo (dalle sue celebri collaborazioni con Paco de Lucia divenuto ormai star super acclamata del genere).
Abbiamo visto muoversi nella direzione di una graduale giustapposizione stilistica tra jazz e flamenco il gruppo del contrabbassista Javier Colina con il chitarrista Josemi Carmona, l’armonicista Antonio Serrano e il batterista Borja Barrueta: con un contrabbasso che tesse sapientemente trame connettive di un discorso che si spinge, dagli squarci improvvisativi della chitarra flamenco di Carmona, verso momenti densi un raffinato senso melodico, di una cantabilità quasi methiniana. Un Javier Colina che ritroviamo in un appuntamento successivo, con una band d’eccezione (Albert Sanz , piano; Perico Sambeat, Sax; Miron Rafajlovic, tromba; Norman Haugue, trombone; Daniel García, batteria; Moisés Porro, percussioni) a presentare pregevoli arrangiamenti di Monk con sconfinamenti verso un latin jazz di pregevole fattura.
I contributi al jazz flamenco da parte della flautista gallega Maria Toro, con un gruppo tutto suo, si corroborano quindi di un notevole virtuosismo strumentale assieme a elementi folklorici; nel gruppo del contrabbassista Pablo Caminero tale contributo lo vediamo poi presente come elemento linguistico che si inserisce sapientemente in una tavolozza di elementi che si integrano in passaggi graduali: armonie frigie che enarmonicamente cambiano natura, passano al blues, con ironia, originalità e ricchezza tematica.
Non sono mancati omaggi al grande vate nazionale, Garcia Lorca, di una chitarra su ballate rockeggianti, per la voce di Mariola Membrives o, da parte di Maria Berasarte, sui testi di Poeta en Nueva York con una vocalità propria del fado portoghese sostenuta, con una grande eterogeneità stilistica da Pepe Rivero, un pianista che sa spingersi anche su terreni decisamente sperimentali.
Tra gli approcci più aperti a linguaggi "contemporanei" abbiamo sentito il progetto The Machetazo, che elabora un linguaggio ben strutturato, un po’ glaciale e astratto; e La Resistencia, una quasi big band, diretta dal sassofonista Luis Verde: arrangiamenti dal ritmo stringente e serrato, escursioni minimaliste, virtuosismi d’insieme alla hard bop, ampi corali dissonanti con spinte centrifughe travolgenti, in un linguaggio articolato di un jazz estremamente evoluto.
Il cartellone di JazzMadrid 2020 con la sua immagine, tra il pop e quella di un pub, resta sullo sfondo, delineando il quadro di un mondo musicale jazzistico e popolare sicuramente vivace e aperto con dosi maggiori e minori degli ingredienti di cui abbiamo parlato, mentre si ricorda la scomparsa, proprio nel momento in cui doveva partecipare in uno degli appuntamenti del festival, di Pedro Iturralde, uno dei pionieri del jazz in Spagna e, fin dagli anni Sessanta, assieme a Paco de Lucia del nascente jazz flamenco.
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