Jazzaldia nel segno di Parker e Zorn
William Parker premiato a San Sebastián, in un festival che si conferma alla soglia dei 60 anni di storia
Jazzaldia 2024 a Donostia / San Sebastián, alla vigilia della sessantesima edizione, si conferma in ottimo stato di salute. Pur mantenendo il suo status di storico festival europeo dai grandi numeri – oltre 180.000 le presenze quest’anno – ha offerto percorsi d'ascolto variegati, e dai palchi principali di Trinitate Plaza, Kursaal Auditorium, teatro Victoria Eugenia e museo San Telmo, è andato ben oltre il mainstream, soddisfacendo un ampio spettro di gusti musicali.
Una visione chiara e decisa quella dello storico direttore artistico Miguel Martín, che sebbene da qualche anno non possa più contare sullo sponsor Heineken, sostituito dal locale marchio di birra Keler, pure ha saputo alternare nomi di grande richiamo (Brad Mehldau, Gregory Porter, Chris Potter, Diana Krall, John Scofield) a proposte tutt'altro che banali e scontate. E lo dimostrano i nomi dei due artisti al centro della programmazione: William Parker e John Zorn.
William Parker: un riconoscimento Meritato
Si è trattato di un’edizione speciale che, nella sua giornata conclusiva, ha inteso premiare William Parker perché (nelle parole di Miguel Martín) «il suo impegno per l'innovazione, la sua libertà creativa e la sua profonda comprensione del linguaggio musicale lo rendono una figura fondamentale del jazz contemporaneo».
Il premio è stato il coronamento di una tre giorni in cui il musicista e compositore americano è stato affiancato da una compagna di ventura ideale: la pianista giapponese Eri Yamamoto. Con lei si è esibito in duo (concerto che si è tenuto prima del mio arrivo), poi in quartetto a Trinitate Plaza (con Ikuo Takeuchi alla batteria e Rob Brown al sax alto) e infine in trio (senza il sax alto) al Teatro Victoria Eugenia subito dopo la premiazione.
La serata a Trinitate Plaza ha visto il quartetto esibirsi tardi, dopo il lungo (troppo lungo) set del duo John Scofield e Dave Holland, con Parker che a un certo punto con i suoi abiti sgargianti è andato a sedersi in prima fila, quasi a dire “ora è il nostro turno”...
Un quartetto incandescente con il sax alto di Brown sugli scudi, sostenuto dal groove del leader. Parker si è alternato al contrabbasso, allo shakuhachi giapponese e a un flauto della tradizione africana con melodie ammalianti, e ha concluso un set superlativo con il brano "Malachi's Mode".
Il concerto seguito alla premiazione è stato memorabile. Il trio è apparso come la formazione perfetta e ha incantato il pubblico nello splendore dorato del teatro Victoria Eugenia, con un Parker più disponibile all’eloquio e alla presentazione dei brani. Ha iniziato con un tributo a Don Cherry caratterizzato dalla ritmica fluida e costante di Takeuchi, dallo shakuhachi e dal pianoforte di Yamamoto in lento crescendo. A seguire, "Oklahoma Sunset," dedicato al batterista Sunny Murray, ha introdotto senza soluzione di continuità l'alba di “East Harlem” e un cenno ad Alice Coltrane: una brillante esibizione di free jazz, ricca di inventiva e virtuosismo. Il concerto si è concluso con "Cornmeal Dance," un classico del repertorio di Parker, che ha risuonato in modo contagioso grazie anche a una Eri Yamamoto in particolare stato di grazia. Una performance memorabile e sigillo perfetto per il premio ricevuto: ampiamente meritato.
John Zorn: un maestro del continuum musicale
Invitato a presentare progetti multipli (a Jazzaldia quest’anno come sul finire dello scorso a Bologna, Modena e Reggio Emilia per AngelicA Festival), il prolifico compositore John Zorn ha riunito sei diverse combinazioni di otto dei suoi collaboratori più rappresentativi in tre diverse serate.
Come la sua musica, ognuno dei set è risultato essere perfettamente pensato e organizzato in ogni singolo dettaglio. Dopo la breve presentazione del compositore lo schema prevedeva una sequenza che consentiva al secondo gruppo di iniziare sulla scia del primo in una sorta di incastro delle composizioni, di continuum musicale caratterizzato dai contrasti stilistici della proposta musicale.
Il primo di questi tre “capitoli” ha avuto inizio all’auditorium Kursaal con il duo chitarristico costituito da Julian Lage e Gyan Riley che ha eseguito una suite ispirata a Teresa de Ávila (mistica spagnola, riformatrice del Carmelo e prima donna cui sia stato riconosciuto il titolo di Dottore della Chiesa). Due virtuosi che hanno saputo dosarsi, ascoltarsi a vicenda e dialogare in modo molto ispirato e divertito.
A seguire, il trio composto da Brian Marsella (piano), Jorge Roeder (contrabbasso) e Ches Smith (batteria) ha eseguito la Suite for Piano di Zorn, una raccolta di pezzi ispirati alle Variazioni Goldberg e alla Suite per pianoforte di Schoenberg… che però al termine del primo brano ho dovuto abbandonare per raggiungere il Museo Chillida Leku (alquanto fuori San Sebastián), dove si esibiva il quartetto italo-francese di Federica Michisanti (ne parlo fra poco).
Il pomeriggio seguente al Kursaal abbiamo assistito all'innesto di Julian Lage nel trio di Suite For Piano: un quartetto che ha registrato l'album "Incerto" e che ha dato vita a un set spumeggiante e pieno di umorismo, con Lage autentico mattatore.
A seguire, è stata la volta dei Simulacrum, trio tellurico composto da John Medeski (organo Hammond), Matt Hollenberg (chitarra elettrica) e Kenny Grohowski (batteria), band difficilmente classificabile e dalla cifra stilistica unica, a cavallo fra metal, jazz, minimalismo, atonalità e rumore, con la batteria di Kenny Grohowski quale cuore pulsante.
A Trinitate Plaza ha aperto l’ultima serata il quartetto Chaos Magick, che al trio Simulacrum del giorno precedente ha affiancato il piano elettrico di Brian Marsella che nulla, però, ha aggiunto di significativo alla tre giorni.
E poi, finale col botto: New Masada Quartet, con Zorn stesso al contralto. La nuova formazione, guidata dal leader, include il storico collaboratore Kenny Wollesen (al posto di Joey Baron alla batteria), e i due giovani innesti di Julian Lage alla chitarra e Jorge Roeder al contrabbasso (al posto di Dave Douglas alla tromba e Greg Cohen al contrabbasso). Ma soprattutto, a cambiare rispetto alla formazione originaria, è stato l’approccio… Questa nuova avventura fonde molte delle esperienze e delle matrici di Zorn: il klezmer e la tradizione ebraica, Filmworks, ma anche un blues dalle radici profonde nel Mississippi…
A chi lo dava per spacciato, appannato, va detto invece che Zorn al sax alto mantiene una grande integrità e brillantezza, e l’evidente piacere di suonare con questa nuova band gli restituisce una vitalità, una giovinezza sarei tentato di dire, che – in effetti - sembrava aver perso. Il suo fraseggio e la pronuncia al sax alto sono cristallini, ma soprattutto emana gioia ed è di stimolo costante per gli altri membri. A vedere (e sentire) di cosa è capace il giovane Lage gli brillano gli occhi, e lo stesso vale per il talentuoso Roeder e per l’immenso Kenny Wollesen, autentica locomotiva… Un’ora di altissimo livello che ha regalato un finale perfetto alla 59a edizione del festival Jazz di San Sebastián e reso contagiosa la musica di questo quartetto stellare per una Trinitate Plaza gremita in tutti i suoi 1500 posti.
Giovani conferme… a museo
Senza dubbio, due dei concerti che hanno spiccato maggiormente sono stati quello del quartetto italo-francese di Federica Michisanti e il solo della pianista spagnola (di stanza in USA) Marta Sanchez.
Federica Michisanti, tra i pochi artisti italiani al festival (con Michele Rabbia e il gruppo di Rosario Giuliani), si è esibita nel parco del Chillida Leku, uno spazio molto bello nel verde rigoglioso fuori dal centro cittadino di San Sebastián. Ha presentato il suo recente progetto italo-francese con Michele Rabbia (percussioni ed elettronica), Louis Sclavis (clarinetti) e Vincent Courtois (violoncello): una formazione frutto della rassegna “Striscia di Terra Feconda” con cui Michisanti ha pubblicato l'album Afternoons, prodotto dal Parco della Musica Records. Un bel progetto che ha mostrato la giovane contrabbassista destreggiarsi al meglio tra alcuni dei massimi esponenti della scena europea. Peccato solo per la lieve pioggia che, nella seconda parte, ha in parte condizionato il concerto e distratto le attenzioni.
Bello anche il piano solo della giovane spagnola Marta Sanchez, nell’intimo chiostro del Museo San Telmo la domenica mattina. Un’ora intensa a cavallo tra jazz e contemporanea, con lunghi tratti di piano preparato che la pianista veniva via via liberando del nastro e degli altri oggetti posti all’interno dello strumento. Stabilitasi da qualche anno negli Stati Uniti, si sta facendo conoscere anche grazie alla sua presenza nel gruppo di David Murray, alle collaborazioni con Maria Grand e alla recente pubblicazione per la svizzera Intakt dell’album Perpetual Void, con Chris Tordini e Savannah Harris.
… e ancora molto altro in programma
Per gli amanti del jazz più mainstream, il programma ha portato in città autentiche stelle: il quartetto Potter/Mehldau/Patitucci/Blake, la vocalist coreana Youn Sun Nah, il duo Dave Holland-John Scofield, che proprio a San Sebastián hanno celebrato l’ultima data del loro tour, il cantante Gregory Porter, Diana Krall e Lakecia Benjamin. Non è nemmeno mancata qualche voce di area più world-pop, come Sílvia Pérez Cruz, Rufus Wainwright, Marisa Monte.
Una buona edizione questa numero 59, che fa ben sperare per l’importante anniversario dell’anno prossimo ma che, soprattutto, lascerà il segno grazie ai due grandi artisti scelti quale fulcro per l’intera programmazione.
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