Irreversible Entanglements, epica del jazz politico
Al Cinema del Carbone di Mantova il gruppo newyorkese, tra spoken poetry ed echi free, il passato e il presente delle lotte sociali
Cosa succede quando ti restituiscono quanto ti hanno portato via? Se la fine del mondo è già accaduta e ogni giorno qualcuno se la immagina, chi potrai chiamare? Quanto lontano dobbiamo andare per liberarci di un inferno che ci attende sempre? Sono ficcanti le domande che pone con piglio ieratico e pugnace Camae Ayewa, nota ai più come Moor Mother (protagonista dell’ottimo Fetish Bones un paio di anni fa, che è anche il titolo del libro da cui legge i testi per questa serata), voce e parole per Irreversible Entanglements, l’ennesima dimostrazione pulsante e luminosa di questa cosa chiamata jazz che ci ha infiammato, come recita la poetessa all’inizio del concerto.
Nello spazio raccolto del Cinema del Carbone, nel pieno centro della cinematografica e splendida Mantova, va in scena il suono della storia e della memoria. It’s coming, it’s coming, attacca così il recitato assorto e ipnotico, it’s coming fresh and unchained, ed è la dimostrazione di come la poesia sia ritmo, e quindi sia sorella del jazz; sui versi visionari e potenti della poetessa afroamericana un trio di giovani leoni determinati pieni di talento imbastisce un canovaccio free memore delle lezioni di Art Ensemble, Don Cherry, Henry Threadgill, solo per citare i primi nomi che vengono in mente; rivediamo con piacere Luke Stewart, già apprezzato questa estate con il trio di James Brandon Lewis a Sant’Anna Arresi, abile e lirico nel proporre groove che sanno di Africa intima e remota (il catalogo della BYG/Actuel e tutto il jazz libero degli anni settanta) insieme a Tcheser Holmes alla batteria, lieve e puntuale. Ai fiati altri due giovanissimi: Keir Neuringer al sax alto e Aquiles Navarro, di origini panamensi, alla tromba.
Il live è un unico flusso di un’ora e mezza nel quale lasciarsi andare totalmente è questione di pochi minuti; tra mistica urbana, saluti a pugno chiuso impliciti e vibranti, epica della ribellione ed epopea dei vinti, il racconto di questa sera somiglia a una sorta di seduta di psicanalisi sui fantasmi della liberazione intesa in senso lato, sia essa di razza, di genere, di classe. Una riflessione in senso lato sulla necessità di cercare, nonostante tutto, ancora la libertà, per fuggire la riscrittura della storia, e non limitarsi a lamentarsi del fatto che non siamo mai stati qui. Nato nel 2015 a Brooklyn in occasione di un evento di Musicians Against Police Brutality, organizzato dopo l’uccisione di Akai Gurley da parte del New York Police Department, il gruppo canta, senza retorica, la propria resistenza bruciante, rinverdendo i fasti che furono di Amiri Baraka, la voce che diede voce al popolo del blues. Stanno attivamente, lentamente cancellando la tua memoria, ammonisce ad occhi chiusi Camae, il nostro è un nuovo linguaggio nella tua bocca, un nuovo idioma del dolore, e suona sinistramente tutto familiare anche a noi, con un oceano di mezzo, tanto più dopo le recenti novità sul caso di Stefano Cucchi. Tra fuochi d'artificio free, esplorazioni saturnine, ombre di soul, in questo Panta Rei black, si scorge un groove di basso che ricorda quello di "Acrostico in memoria di Laio", da Gli dei se ne vanno gli arrabbiati restano degli Area.
Un live necessario, all'interno di una rassegna, Shirley Clarke Connection (dedicata a una figura cruciale del New America Cinema tra sessanta e settanta), tra spettacoli, cinema e laboratori, organizzata dall'associazione 4'33'' , che proseguirà con proiezioni ed altri due concerti: il solo del sassofonista Ben Vince il 18 ottobre al Teatro Magro e l'omaggio a Jackie McLean del trio Bittolo Bon/Evangelista/Sorrentino il 21. Free your jazz and your mind will follow!
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