Il rock totale di Ribot
Il Ceramic Dog Trio a Padova per Ostinati!
Recensione
jazz
Il cane di ceramica è la Disneyland di Marc Ribot, la stanza dei giocattoli nella quale dare libero sfogo agli istinti chitarristici più turpi applicati all’arte del rockeggiare. Rockeggiare alla maniera di un Ribot, ovviamente. Che poi significa farlo con piglio terroristico, prendendosi tutte le libertà che spettano per diritto acquisito a un improvvisatore con un pedigree da collare d’oro: Tom Waits, Zorn, la musica cubana, la passione per Scelsi e Albert Ayler, Django, il blues, John Cage e chissà che altro ancora. Ospiti a Padova per la penultima di Ostinati!, di libertà se sono prese parecchie il chitarrista di Newark e il suo cane di ceramica. Con Ches Smith alla batteria e Shahzad Ismaily al basso elettrico e gingilli elettronici assortiti, Ribot ha offerto un saggio più che esaustivo della sua idea “totale” di rock and roll: ritmi indiavolati, riff e contro-riff sparati a bruciapelo, colate di feed-back sfrigolanti, progressioni garage, inattese derive desertico-morriconiane, un po’ di Jerry Garcia e tanto, tanto Jimi Hendrix. Il tutto disciolto nell’acido di un’attitudine malignamente sperimentale, dissacrante e casinista. Rispetto a “Party Intellectuals”, l’unico disco del trio uscito nell’ormai lontano 2008, la musica si è fatta ancora più urticante e scomposta. Non a caso le due cover in scaletta sono apparse trasfigurate ai limiti del riconoscibile: “Stormy Monday” di T-Bone Walker ridicolizzata alla maniera dei Fugs, “The Wind Cries Mary” di Jimi Hendrix (per assurdo il pezzo meno hendrixiano della serata) rifatta alla Eugene Chadbourne. A breve il cane di ceramica entrerà in studio per la fatica numero due. Se il buon giorno si vede da Padova, c’è di che fremere nell’attesa.
Interpreti: Marc Ribot (chitarra elettrica e voce); Ches Smith (batteria); Shahzad Ismaily (basso elettrico, elettronica e voce).
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