Amica è stata rappresentata nel 1905 e dopo qualche anno è scomparsa, ma ultimamente ci sono segnali di rinascita. Tutti sono d'accordo sullo sfoggio di bravura tecnica - per quanto riguarda in primis l'orchestrazione, ma anche l'armonia e l'uso dei temi ricorrenti - che corregge la falsa immagine del Mascagni maestro di banda. Il rischio è che sotto la tecnica ci siano "idee fiacche, o non idee", "pseudo-linguaggio", "pseudo-espressione", "non-personaggi": parole di Gavazzeni, che mettono a nudo le debolezze dell'opera, ma che sono un po' troppo dure, perché Amica non è da buttar via. Ma certamente le manca qualcosa: il difetto principale sta nel libretto, che è insieme polveroso e velleitario, con un inizio da idillio pastorale all'Amico Fritz e un finalone drammatico da Cavalleria rusticana, passando attraverso incerti tentativi di simbolismo e psicologismo.
Ancora Gavazzeni dice che la sua fortuna iniziale dipese da "efficacissimi interpreti" che poterono "illusoriamente mutare l'enfasi in verità". Ora è successo il contrario e anche i momenti di verità sono stati mutati in enfasi. Amarilli Nizza non ha una voce strabordante e invece di fare di necessità virtù ha gridato fin quasi a perdere la voce. Alberto Mastromarino è un baritono solido ma tetragono ad ogni espressione. Li ha seguiti (o preceduti?) Antonino Fogliani con una direzione all'ingrosso, che ha perso per strada gran parte della succitata bravura tecnica del compositore. L'unico a non essere caduto nell'enfasi è stato Enrique Ferrer, che ha cercato di dar vita alla psiche contorta di Giorgio, non a caso l'unico personaggio ad essere sembrato credibile.
Regia non retorica ma semplicistica di Jean Louis Grinda, scene belle ma oleografiche di Rudy Sabounghi, notevole disegno luci di Laurent Castagnet.
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista