Il ritorno a Bologna dell’Orchestra Mozart
Bernard Haitink prende in pugno l’eredità di Abbado per un Festival speciale
Riassumiamo. Nel 2004 Claudio Abbado fonda a Bologna l’Orchestra Mozart, ennesima sua creatura musicale costituita attorno alle “prime parti” provenienti dalle maggiori orchestre internazionali, sostenuta dall’antica e gloriosa Accademia Filarmonica per la parte organizzativa, dalla Fondazione Carisbo per quella economica. Furono nove anni di successi artistici a tutto campo – concerti, dischi, tournée – condivisi con solisti del più alto profilo che sfilavano a cadenza regolare sul palcoscenico dell’Auditorium Manzoni.
Nel 2013 l’insostenibilità economica costringe a sospendere l’attività; la morte di Abbado nel gennaio 2014 sembra sancire fatalmente la fine di quell’esperienza. E da allora si sono cercate le alternative strade possibili per rivitalizzare quel patrimonio artistico e culturale.
Quasi casualmente la bacchetta era passata in mano a Bernard Haitink per l’ultimo concerto del 2013 (quello con Maurizio Pollini che Abbado non riuscì a dirigere); e insieme a Haitink l’Orchestra si è ripresentata un paio di volte negli anni successivi, con l’orgoglio di chi investe tutte le energie per garantirsi la sopravvivenza, fra crowdfunding dei sostenitori e prestazioni gratuite degli artisti.
La novità del 2017 fu l’interessamento per l’Orchestra Mozart avanzato dalla Fondazione Lugano Musica, che l’ha accolta “in residenza”. L’accordo con Bologna è quello di un appuntamento periodico per un “Festival dell’Orchestra Mozart”, nella doppia dimensione di concerti sinfonici e cameristici.
Ed eccoci, dunque, al 6 aprile 2018. In arrivo da Lugano, l’Orchestra Mozart entra sorridente sul palcoscenico dell’Auditorium Manzoni di Bologna, e invece di sedersi si schiera orgogliosa davanti al pubblico, che l’accoglie con un applauso caloroso e interminabile, mentre cerca con gli occhi i volti noti: accanto al podio le figure splendide e rassicuranti di Lorenza Borrani (Primo Violino) e Danusha Waskiewicz (Prima Viola); alle loro spalle si riconoscono altri “reduci”, ma l’impressione è che non vedremo più i vari Carmignola, Christ, Posch, Zoon, Navarro, Carbonare, Friedrich, Allegrini, che nelle prime parti dei vari settori avevano reso irripetibili quei concerti con Abbado.
Resta ancora un dubbio da sciogliere: il suono sarà rimasto lo stesso? Sono sufficienti i primi, poderosi accordi del Concerto K 503 per avere la risposta: se nelle precedenti occasioni Haitink sembrava essersi adeguato alle caratteristiche di un’orchestra dalla forte personalità, ora ci pare di sentire il suono del nuovo direttore, così teso e tagliente nei fortissimi, meno impalpabile nei pianissimi – un suono più da XX che da XXI secolo – e senza comunque derogare alla perfezione tecnica di tutte le sezioni, alla meravigliosa compattezza degli archi, alla bellezza timbrica dei singoli fiati.
Il confronto con la dolcezza e morbidezza sonora del pianista Paul Lewis (davvero incantevole il suo Mozart, lindo, carezzevole) faceva l’effetto dell’unione di menta e cioccolato, mentre nella Sinfonia “La grande” di Schubert l’orchestra sfoggiava tutta la sua magniloquenza, in un’esecuzione smagliante e trascinante accolta da ovazioni clamorose.
Più “normale” il concerto di due giorni dopo, imperniato attorno alla violinista Vilde Frang nel K 219 (suono piccolo ma penetrante e cadenze semplici ma originali), inserita fra i due pilastri dell’Incompiuta e della Jupiter. Esecuzioni di gran classe; ma nel ricordo del pubblico resterà piuttosto la paura per la doppia caduta del malfermo Haitink scendendo dal podio: nessuna conseguenza, se non il cuore in gola per tutti.
Fra i due concerti maggiori, appuntamenti cameristici sparsi per la città, anche in luoghi e per pubblici insoliti, con l’Ottetto di Schubert a farla da padrone. Un Festival di soli tre giorni, che riempie però l’animo per parecchie settimane, in attesa di capire quanto la nuova formula potrà radicarsi e durare nel tempo.
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