Le musiche per le Quaranta Ore a San Luigi dei Francesi

Roma: ripristinata anche la macchina scenica usata per questa liturgia nel diciassettesimo secolo

Le Quaranta Ore
Le Quaranta Ore
Recensione
classica
Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Le Quaranta Ore
28 Marzo 2025 - 29 Marzo 2025

Questo concerto per più aspetti straordinario è nato da una fortunata e quasi incredibile coincidenza: negli stessi giorni in cui nel sottotetto della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma si riscopriva una “macchina” per le Quaranta Ore, arrivava a Nacfaire de Saint Paulet, direttore dell’Associazione Roma Barocca in Musica, una telefonata dalla Francia. Era Sébastien Daucé, direttore dell’Ensemble Correspondances, che aveva riscoperto alcune musiche composte a Roma nel Seicento proprio per i riti delle Quaranta Ore e proponeva di eseguirle appunto a Roma. Impossibile resistere alla tentazione di unire queste due riscoperte. Tra pandemia, restauro della “macchina” e un’organizzazione certamente non semplice - che ha coinvolto anche il Roma Festival Barocco e Les Pieux Etablissements de la France à Rome et à Lorette - si è realizzato infine questo concerto in San Luigi dei Francesi con la scenografia barocca della “macchina” e con le musiche riscoperte da Daucé e da lui dirette. E gli si è affiancato un convegno internazionale. 

Le Quaranta Ore sono una liturgia che ha avuto origine nel medioevo e che ancora sopravvive qua e là ma che ha avuto il suo apogeo nel Seicento, soprattutto a Roma. Chiaramente durava quaranta ore, durante le quali si adorava il santissimo sacramento, e si svolgeva in varie occasioni, ma principalmente dal primo pomeriggio del venerdì santo, momento della morte di Gesù, alla mezzanotte del sabato, momento della sua resurrezione. Non mancava mai la scenografica macchina barocca - una finta architettura illuminata da centinaia di candele - al cui centro era esposto il Santissimo Sacramento. L’apporto della musica era importante ma non si sa esattamente come si concretizzasse. 

Questo particolarissimo concerto romano aveva il duplice merito di dare un’idea dell’apporto della musica alle Quaranta Ore e di far riscoprire una serie di compositori del Seicento noti solo ai musicologi ma mai o quasi mai passati dai saggi musicologici alla viva esecuzione. Un limite era invece non aver dato alcuna informazione sulla nascita e la destinazione dei quasi venti brani che sono stati eseguiti, molti dei quali in prima esecuzione moderna. Sicuramente alcuni non erano stati composti per le Quaranta Ore e altri sì: ma quali? Il programma di sala non forniva alcuna indicazione. Il primo brano era Aurea luce  di Palestrina, risalente al Cinquecento, mentre tutte le altre musiche erano del pieno Seicento. Probabilmente questo inno per i Vespri della festa dei Santi Pietro e Paolo è stato scelto come una sorta di preludio, che serviva a far intendere come Palestrina fosse ancora in pieno Seicento, nonostante l’aggiunta di strumenti e del basso continuo, un modello per quel gruppetto di compositori semisconosciuti che si sarebbero ascoltati in seguito. Per alcuni di loro Palestrina era un modello ormai banalizzato, che comunque contribuiva a dare decoro e dignità anche a compositori modesti, che però si contraddicevano col cercare di nascondere la loro modestia sotto la ridondanza esteriore, in realtà lontanissima da Palestrina: a questa categoria sembrerebbero appartenere alcuni dei compositori in programma, cioè Remigio Cesti, Giovanni Francesco Marcorelli, Domenico Dal Pane, Giuseppe Giamberti, Lorenzo Ratti e Giuseppe Corsi, ma sarebbe ingeneroso giudicarli sulla base di uno o due pezzi ascoltati ora. Invece Francesco Beretta ed Ercole Bernabei rivelano un certo grado d’indipendenza nei confronti di Palestrina e la loro musica ne guadagna non poco in varietà e interesse. Comunque è stata una preziosa esperienza ascoltare in alternanza gli uni e gli altri, perché si aveva così un’ampia panoramica della scuola romana.

Tre dei compositori in programma si elevavano di parecchie spanne al di sopra della decorosa routine degli altri. Di Gerolamo Frescobaldi è stato eseguito l’audace e geniale Capriccio di durezze.  Di Giacomo Carissimi si sono ascoltati due pezzi: in Christus factus est  all’eco della polifonia palestriniana, in questo caso veramente stupenda per purezza e semplicità, si aggiunge l’espressività resa possibile dalla moderna armonia; O quam mirabilia  è  invece un meraviglioso duetto per soprano, contralto e basso continuo. Chiudevano il concerto le Litanie a 9 voci  di Alessandro Melani; a proposito di queste semplicissime, dolci e intense cantilene ripetiamo e condividiamo le parole di colui che alcuni anni fa le ha riscoperte in un archivio, Luca Della Libera, che ne mette in rilievo il “clima d’intima partecipazione emotiva, in una dimensione sonora estranea alla solennità impersonale di tante pagine coeve”.

L’Ensemble Correspondances, diretto da Clément Doucet, è indubbiamente di alto livello. Non si trovano facilmente un cornetto e tre tromboni in grado di eseguire con tale morbidezza, omogeneità e purezza la polifonia Aurea luce  di Palestrina, in quest’occasione trasportata dalle voci agli strumenti. Però le esecuzioni di altri pezzi sono state meno nitide. Probabilmente hanno nuociuto le dimensioni eccessive del gruppo vocale (diciotto voci) unite al forte riverbero acustico della chiesa, che impastava le voci. Ma contribuivano anche le linee vocali poco definite e la prosodia piatta, che non dava rilievo alle singole parole né alla tornitura delle frasi. Ne hanno risentito particolarmente le Litanie a 9 voci  di Melani, anche perché gonfiate dal raddoppio delle voci. Invece il risultato è stato ideale quando a cantare erano poche voci, per esempio le due previste da Carissimi in O quam mirabilia. In ogni caso il concerto ha avuto nel complesso un effetto indubbiamente suggestivo. Contribuiva anche la macchina scenica delle Quaranta Ore, restaurata e montata in fondo all’abside, sfavillante di centinaia di luci, che per ragioni di sicurezza non erano candele come nel Seicento ma lampadine a LED che cercavano di riprodurne le lievi fluttuazioni luminose.

Pubblico foltissimo (saggiamente, prevedendo l’affluenza, è stata prevista una replica) e plaudente.

 

 

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