Il pop “monumentale” e danzereccio dei Kadebostany
La band svizzera, reduce dai Mondiali di Calcio in Russia, è planata al Labirinto della Masone di Parma
A distanza di una settimana dalla loro partecipazione alla cerimonia di chiusura del Fifa Fan Festival, la rassegna musicale che ha fatto da colonna sonora ai Campionati Mondiali di calcio giocati in Russia, la formazione svizzera Kadebostany è planata al Labirinto della Masone di Parma, seguita da uno stuolo di seguaci ristretto ma coinvolto e partecipe.
Vero è che il tempo incerto (a poco più di un’ora dalla fine della serata in zona si è infatti scatenato l’ormai immancabile temporale…) potrebbe aver dissuaso parte dei fan – e comunque la band ritorna in Italia il prossimo 7 ottobre al Fabrique di Milano –, o ancora un’altra parte del potenziale pubblico potrebbe essersi smarrito nella frescura del dedalo di bambù che disegna il “labirinto più grande del mondo” (così recita il claim della location). Resta il fatto che chi ha partecipato al concerto del gruppo di Ginevra merita di diritto di diventare cittadino onorario della “Repubblica di Kadebostan, un luogo dove si può fare musica in libertà”, come sostiene in qualità di presidente della stessa repubblica immaginaria Guillaume Jérémie, DJ, produttore nonché leader di questa formazione.
Dopo aver ricevuto lo scorso anno il premio come band europea rivelazione dell’anno al Wind Summer Festival, i Kadebostany hanno fatto da poco uscire l’album Monumental – dal 14 marzo sulle piattaforme digitali e dal 15 giugno in tutti gli store – frutto di un lavoro di quasi tre anni e il cui singolo “Save Me” ha superato 3 milioni e mezzo di visualizzazioni da quando è stato caricato, lo scorso 16 febbraio, su YouTube.
Il concerto che traduce nella dimensione live questo album ha offerto, in poco meno di un’ora e mezza di musica, uno spettacolo dove la miscela eclettica di uno stile che centrifuga pop, folk, elettronica, barocco e new wave anni Ottanta, è stata valorizzata da luci dal taglio raffinato e minimalista e da una formazione nella quale, oltre a Jérémie e alla sua allegra fantasia plasmata dai campionatori e sintetizzatori, spiccava la batteria di Marc Veuthey, capace di segnare il carattere dei brani con massicci interventi di rullante e, soprattutto, di tamburi, e la voce di Kristina, presenza che da un paio d’anni ingentilisce questa formazione per il resto maschile. Timbro solido e capacità espressiva eclettica – si direbbe ispirata a qualcosa come una via di mezzo tra Amy Winehouse e Dolores O'Riordan, sempre con rispetto parlando… – questa cantante ha restituito dal palco tutto il carattere di brani più iconici come “Soldier of Love” o “Frozen to Death”, riuscendo peraltro a valorizzare i chiaroscuri di titoli quali la stessa “Save Me”, qui presentata con un arrangiamento totalmente diverso rispetto al disco, abbandonando la chitarra ritmica della stessa Kristina e rivestendola di archi sintetizzati.
Ma l’anima fondante della musica di Jérémie e compagni rimane il gusto danzereccio di brani come “Joy & Sorrow”, o come “Early Morning Dreams” con il pubblico a cantare in coro “Ale ale aleo”. Un pop semplice e immediato, dove il “fare musica in libertà” significa miscelare tappeti di ottoni e barriti di elefante, arrivando a pescare dal repertorio barocco la Sarabanda di Händel – già famosa per essere utilizzata da Kubrick in Barry Lyndon – e farla diventare ingrediente di un brano come “Eternal Boats”, aggiungendo un pizzico di “follia” alla freschezza di una musica leggera che, di tanto in tanto, è sempre interessante ascoltare.
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