Il fascino di Favorite
Al Teatro Massimo di Palermo il grand opéra di Donizetti in versione originale e praticamente completa, poi un recital di Nicola Alaimo
Robert Schumann scrisse una lapidaria stroncatura della Favorita: “Musica da burattini!”. Ma aggiunse: “Non ho ascoltato che due atti”. Se fosse rimasto ad ascoltare gli altri due – bello il terzo, sublime il quarto – avrebbe probabilmente cambiato opinione. E forse l’avrebbe cambiata anche sui primi due, se li avesse ascoltati diretti da Francesco Lanzillotta, che ha dimostrato che è tutt’altro che musica da burattini ed anzi è orchestrata con molta cura e raffinatezza: questo non è affatto insolito per Donizetti ed è un peccato che i direttori, e di conseguenza il pubblico, non sempre se ne accorgano. Nella Favorite c’è anche qualcosa di più, perché l’orchestra non soltanto accompagna sapientemente le voci ma spesso conduce essa stessa il gioco e, con la sua tavolozza ricca di sfumature di colore e di espressione, non è affatto uno sfondo generico ma crea di volta in volta le diverse situazioni drammatiche.
Che la Favorite sia un grand opéra non è estraneo a questo risultato, un po’ per la maggiore attenzione che si dava all’orchestra in Francia ma soprattutto per il soggetto “politico”, che mette i due protagonisti nella situazione di non poter mai esprimere apertamente il loro reciproco amore, se non all’ultimo atto, in punto di morte: l’orchestra in qualche modo si deve far carico di quel che le parole non possono dire, con una sottigliezza assolutamente nuova per l’opera di quegli anni, italiana e forse non solo italiana. Francesco Lanzillotta lo ha fatto ascoltare e capire, dimostrando un acume interpretativo, una sensibilità e un’eleganza più che rare. Col il suo gesto preciso e sicuro ha lavorato di cesello, ottenendo dall’orchestra del Teatro Massimo buona precisione e soprattutto grande morbidezza e varietà di sfumature, per quel che riguarda sia i colori che le dinamiche. Ottima la prestazione del coro preparato da Pietro Monti.
La Favorite era stata scritta per quattro star dell’Opéra di Parigi del 1840 e anche questa volta ha avuto un cast formidabile. Sonia Ganassi, che è nel pieno della sua maturità vocale e artistica e per di più trova nell’opera francese il suo repertorio d’elezione, è stata una Léonor ideale, misurata, perché questa non è un’opera italiana in cui ci si possa tuffare a capofitto nelle passioni, eppure intensa, realizzando in modo esemplare questo personaggio complesso e tormentato. Anche John Osborn è insuperabile in questo repertorio: forse all’inizio il pubblico non ha apprezzato pienamente la sua voce, che non è aperta e sfogata all’italiana, ma poi ha capito la maestria di un canto tutto giocato sul fiato, con smorzature e rinforzi calibrati al millimetro. La sua dizione francese è perfetta e dà l’esatto rilievo a ogni nota dei recitativi. Per non parlare degli acuti raggiunti con totale nonchalance, senza la minima ombra di compiacimento ed esibizionismo. Alla fine il pubblico, totalmente conquistato, ha chiesto il bis di “Ange si pur”, che Osborn ha cantato in modo sorprendentemente diverso dalla prima volta.
Simone Piazzola, che era Alphonse XI, è meno addentro allo stile francese e lo si capisce anche dalla pronuncia approssimativa, che inficia un po’ i recitativi. Canta molto bene la sua cavatina “Léonor! Viens” e la successiva cabaletta, con una vocalità franca e spiegata, ma in seguito avrebbe dovuto lavorare di più sulle sfumature di questo personaggio non unidimensionale, che è regale ma anche incerto e contraddittorio. Marko Mimica non ha bisogno di gonfiare e scurire artificiosamente la sua voce - non particolarmente potente – e gli basta il suo stile nobile per dare gravità e autorevolezza a Bathazar, il priore del convento. Bene nei ruoli minori Clara Polito, Blagoj Nakoski e Carlo Morgante.
Un altro elemento di punta di questo nuovo allestimento erano le scene dipinte, che ci riportavano a un modo di fare l’opera antico, ma nuovo per quella fetta di pubblico giovane che negli ultimi anni è entrata nei teatri. Create da Francesco Zito e splendidamente realizzate dalle maestranze del Massimo, riproducevano i diversi ambienti – particolarmente belli gli interni del convento e del palazzo reale - in modo non banalmente realistico ma con una buona dose di inventiva e con scorci prospettici audaci, molto teatrali. Lo stesso Zito firmava i costumi, eleganti, bellissimi. Nella cornice da lui preparata si sarebbe desiderata una regia di Luchino Visconti, ma era ovviamente un sogno impossibile: si poteva tuttavia sperare in qualcosa di più dell’inesistente regia di Allex Aguilera, che si è limitato al minimo, senza far nulla per illuminare i complessi e sottili rapporti tra i personaggi.
Last but not least è stata eseguita la versione completade La Favorite, tranne qualche taglio delle danze, che spesso vengono eliminate completamente e in questa occasione sono state in buona parte conservate, con le coreografie di Carmen Marcuccio, che si inserivano con gusto nello stile ottocentesco delle scene e dei costumi.
Il giorno dopo il Massimo offriva un appuntamento irresistibile con Nicola Alaimo, uno dei migliori cantanti italiani di oggi, che vive ora quel momento magico in cui la giovinezza si allea alla maturità. Con il validissimo accompagnamento del pianista Giuseppe Cinà, Alaimo ha cantato due pagine emblematiche del repertorio italiano per baritono, una buffa e l’altra drammatica, cioè “Largo al factotum” del Barbiere di Siviglia e “Cortigiani, vil razza dannata” del Rigoletto: le ha cantate entrambe benissimo. confermando così le grandi possibilità in tutti i campi di un organo vocale privilegiato, ma queste due pagine estrapolate dal contesto tendono - e non per colpa sua - ad apparire un po’ istrioniche. Non così i due estratti dal Gianni Schicchi e dal Falstaff, in cui Alaimo ha messo in rapporto parole e note con acume e simpatia impareggiabili: questo piccolo assaggio ha fatto venir voglia di ascoltarlo nelle due opere complete. E così via, con altre arie d’opera nella prima parte del concerto e nella seconda con romanze da camera e canzoni di Tosti, De Curtis e altri autori un tempo popolarissimi ma ancora oggi capaci di conquistare il pubblico.
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