I colori del Falstaff di Gatti
Scala: torna l'allestimento di Strehler
Sul palcoscenico della Scala torna la splendida scenografia "padana" ideata da Ezio Frigerio per il Falstaff del 1980 con la regia di Giorgio Strehler, allora direttore Lorin Maazel, a cui seguì Riccardo Muti. Per questa ripresa della messa in scena ora firmata da Marina Bianchi, è sul podio Daniele Gatti che con l'opera di Verdi ha un lungo rapporto. Oltre al ricordo di una fila di sei ore che da ragazzo aveva fatto per accaparrarsi un posto in loggione 24 anni fa, la sua prima direzione di Falstaff alla Scala risale al 2015 per la messa in scena di Robert Carsen; mentre il suo primo incontro col "pancione" era stato in forma di concerto a Santa Cecilia nel 1996, a cui sono poi seguite tantissime edizioni per l'Europa, da Dresda a Vienna, da Parigi a Zurigo. È forse il titolo verdiano che il maestro milanese ha più frequentato e questa familiarità ha dato i suoi frutti anche nella rinascita scaligera dello spettacolo. È subito apparso chiaro quali colori riesce a ottenere dall'orchestra, con quale minuzia cameristica i concertini commentano o sbeffeggiano le battute fulminanti del libretto. Mentre, spiace ammetterlo, la compagnia di canto nel suo complesso ha finito per penalizzare la scatenata effervescenza che ci si aspettava in molti momenti. Ambrogio Maestri è espertissimo nei panni di Falstaff, ma la sua voce raramente raggiunge il volume necessario alla sala; i classici exploi come "Quando ero paggio del duca di Norfolk" o "Va vecchio John" passano inosservati, finendo per penalizzare anche l'esecuzione. Succede lo stesso per esempio con Quickly (Marianna Pizzolato), la cui flebile "Reverenza" non riesce a risultare la necessaria sfida maestosa al truculento seduttore. Quanto alle due allegre comari, Rosa Feola per voce e gestualità non ha la verve vocale e l'arguzia necessaria, ancor meno Martina Belli come Meg. L'unica all'altezza della parte risulta Rosalie Cid come Nannetta, il suo amoreggiare con Fenton (Juan Francisco Gatell) è uno dei pochi momenti in cui viene rispettato il gioioso meccanismo inventato da Verdi. Con questo, quando le voci sono impegnate in gruppo nelle diaboliche superesposizioni polifoniche tutto funziona a meraviglia, grazie al ferreo controllo del direttore.
A risultare vincente è comunque la scenografia di Frigerio, con la luminosa cascina, la locanda con le enormi botti e la notte nebbiosa della foresta di Windsor, non ha perso nulla della sua magia. Sarebbe bello che la Scala, come ha fatto per anni l'Opera di Vienna col classico Rosenkavalier, riproponesse regolarmente questa edizione; magari con l'accortezza di raffinare la recitazione e il ritmo gestuale, anche a costo di trasgredire le indicazioni originarie. E accorciasse i tempi dei cambi di scena; con l'alta tecnologia di cui dispone il teatro non dovrebbe esere impossibile, perché il pubblico non è più abituato ad avere continui intervalli a sipario chiuso e mezze luci in sala. Lo stesso Strehler ne sarebbe contento.
Applausi per tutti a fine serata.
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