I cd? roba da vecchi

I numeri sono in genere interessanti. Spiegano le cose quasi senza volerlo. Eccone alcuni, a proposito dell’industria della musica: sfornati da poco, in occasione dell’annuale convention della Narm, acronimo che sta per National Association of Recording Merchandisers, l’associazione nazionale (statunitense) dei mercanti di dischi. Allora: nel 2009 il 91% delle vendite è stato appannaggio di appena il 2% dei prodotti immessi sul mercato (l’insieme significa 98.000 titoli). E solo il 2,1% del totale ha varcato la soglia delle 5.000 copie vendute. Fa un po’ lo stesso effetto di quando le statistiche sulla distribuzione della ricchezza disegnano un’analoga piramide: pochissimi si accaparrano la stragrande maggioranza del bottino. È il capitalismo, bellezza, e non ci si può fare niente.
Un altro dato significativo, esposto nella medesima ricerca, afferma che più avanza l’età anagrafica degli acquirenti, più cresce la fidelizzazione verso il prodotto tradizionale, ossia il cd. Se la media di consumo – ci riferiamo sempre al modello americano – premia il cd stesso nel 75% dei casi, per titoli destinati al pubblico adulto la percentuale cresce in misura significativa. Esempio lampante è Susan Boyle: la gorgheggiatrice scozzese approdata al successo per via televisiva attraverso "Britain’s Got Talent", l’X Factor d’oltremanica. Ebbene, nel suo caso le vendite su cd superano il 90% della diffusione totale. E considerate che stiamo parlando di una partita giocata fuori casa, nel senso di oltreoceano (dove miss Boyle ha smerciato comunque più copie di Lady Gaga). Morale? Il mercato discografico si sta geriatrizzando. Ed è inquietante la conclusione cui arriva la ricerca commissionata dalla Narm: “I giovani artisti hanno di fronte possibilità vicine allo zero di vendere quantitativi persino modesti”. Per fortuna, in quel senso e per loro, esiste la rete: magari non si guadagna, ma almeno ci si rende visibili.