Giovanna d’Arco, un capolavoro da riscoprire
A Modena una lettura introspettiva per l’allestimento del teatro dell’opera di Metz Eurometropole
Siamo a Modena, al teatro comunale Pavarotti-Freni – gioiellino della Val Padana dalla tinta rosa salmone – per seguire la coproduzione con i teatri di Reggio Emilia nell’allestimento del teatro dell’opera di Metz Eurometropole di Giovanna d’Arco, alla seconda ed ultima recita domenica 21 novembre. Capolavoro verdiano da riscoprire, precedente ad opere come Oberto, non totalmente estranea a Nabucco, il suo primo trionfo e forse più lontana anche di I Lombardi. Un soggetto senz'altro iconico, di segrete affinità tra misticismo e patriottismo, con molta azione, apertamente intellettuale tra sentimenti amorosi e missione divina, musicalmente ispirata forse a Bellini e che produsse un prodigioso balzo in avanti nella produzione verdiana.
Lasciando ad altre sedi i diversi riferimenti letterari di Schiller, l'opera costituisce per il regista Paul-Emile Fourny, nella sua essenza, un sofferto tentativo di trovare una via di soluzione al problema della relazione padre-figlia. La messinscena, studiata sul profilo interiore della protagonista, è sublimata nelle immagini proiettate sul palco con la funzione di condurre la protagonista ad esplorare il proprio inconscio. Quest’introspezione, meno che solitaria, accompagna tutti i quattro atti, sostituita da spazi vuoti con foresta, campi di battaglia, castello e cattedrale. E ancor più in questo cantiere anche giovanile dei teatri emiliani, dove si lavora con energia e libertà si ripropone quest’opera in tempi moderni con Amadi Lagha - Carlo VII, Devid Cecconi - Giacomo, Alessandro Lanzi - Delil, Ramaz Chikviladdze - Talbot e Vittoria Yeo - Giovanna, un quartetto di lusso per le voci principali e un timbro lucente per la giovane protagonista coreana, ideale.
Buio e silenzio aprono la scena iniziale, un suggestivo gioco di luci svela la foresta seguendo il travolgente crescendo musicale dell’orchestra – morbida, restituisce ogni dettaglio del suono che corre con naturalezza. Il tutto proseguirà con primi piani, gesti, tra apparizioni simboliche, mentre sfilano abiti da corte medievale. Un grande Giacomo, baritono vocalmente sfaccettato, con chiaroscuri, diminuendi, legati preziosi. Tutt'intorno, il coro, come in un anfiteatro, partecipa ai giochi. Il tenore Carlo VII è sempre cinico ma gradevole nel duettare con Giovanna. Ma il colore non cangia mai, è nero. La sala rimane buia per tutta l’opera, si muovono proiezioni che ridefiniscono spazi vuoti: Giovanna è dentro e vaga tormentata nella sua psiche. È timbricamente perfetta per il ruolo Vittoria Yao, con colorature espressive al limite del velluto, ma da plasmare sulle sfaccettature più drammatiche. Toccante il coro fuori scena, diretto da Stefano Colò. Non esisterebbe, questo Verdi riscoperto, senza il braccio di Roberto Rizzi Brignoli, tiene tutti insieme quasi senza battere e con estrema musicalità seppur nel suo stile, nella lettura di una partitura complessa di ritmi, variazioni, tensioni espressive.
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