Gardiner, il classico

Si apre la 41ª edizione del Bologna Festival con gli English Baroque Soloists diretti dal loro storico fondatore, all’insegna del Classicismo viennese

Gardiner e English Baroque Soloists (Foto Roberto Serra)
Gardiner e English Baroque Soloists (Foto Roberto Serra)
Recensione
classica
Bologna, Auditorium Manzoni
Gardiner e English Baroque Soloists
02 Maggio 2022

Il Bologna Festival, articolato oggi in vari cartelloni distinti, si distingue dal 1982 per la rassegna “Grandi interpreti”, che porta in città i più bei nomi del concertismo internazionale. Particolare attenzione viene attribuita ogni anno alla serata di apertura, che per questa 41ª edizione è stata affidata alle mani magiche di Sir John Eliot Gardiner e dei suoi English Baroque Soloists, gruppo strumentale d’eccellenza fondato nel lontano 1978. Dall’epoca, tanti musicisti si sono avvicendati al suo interno (oggi donne all’80%), tramandandosi un suono pieno, graffiante, che di molto s’allontana dalle tinte pastello, dai sussurri talvolta incerti che caratterizzano molti ensembles dediti al Barocco, cosa che consente agli English Soloists di addentrarsi con sicurezza anche nel repertorio classico e oltre.

E sono proprio i timbri asprigni di corni e clarinetti settecenteschi a evidenziare in modo peculiare i toni scherzosi del tardo Haydn, più di quanto non accada con i suoni caldi e torniti delle orchestre sinfoniche d’impronta ottocentesca dalle quali siamo più abituati a udirli. La sua Sinfonia n. 103 ha goduto così di quelle “sferzate timbriche” capaci di renderla più pungente del solito, a cominciare dal famigerato rullo di timpani iniziale che le dà il nome, divenuto con le mazze di Robert Kendell una vera fanfara introduttiva.

Ecco: la “fantasia interpretativa” nella classica “compostezza esecutiva” può davvero essere individuata come il taglio generale dell’intera serata, che proseguiva con l’amatissima Sinfonia concertante per violino e viola K 364 di Mozart, affidata nei ruoli solistici alle rispettive prime parti dell’orchestra Kati Debretzeni e Fanny Paccoud. Così diverse, alla vista e all’udito, simili soltanto nell’intonazione perfetta: esuberante, fin graffiante il suono del violino; dolce, malinconica, quasi sommessa ogni risposta della viola.

Si terminava con la Sinfonia K 543: ed è un Mozart vigoroso, energico, possente, senza fronzoli, offertoci da 40 strumentisti sempre sorridenti, per i quali è difficile stabilire quanto di ciò che udiamo sia interpretazione di volta in volta suggerita dal loro fondatore e quanto un istinto ormai radicatosi e tramandato attraverso le generazioni. Il Maestro stesso sembra divertirsi appieno, fino al punto d’inventarsi una gag sull’ultima battuta della Sinfonia, che s’arresta inattesa nell’ennesima riproposta dell’ostinato ritmico-melodico percorrente l’intero finale: e mentre l’orchestra si blocca sull’ultima nota, lui finge scherzosamente di continuare a dirigere, come se non si fosse accorto che la partitura è conclusa... Musica che non si spegne, musica che continua a risuonarti in testa anche dopo che la luce nella sala si è spenta.

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