Emma Dante e le Carmelitane: un incontro difficile
L’opera di Poulenc ha inaugurato con successo la stagione dell’Opera di Roma
Teatro pieno come un uovo. Erano presenti anche vari esponenti della politica: abbiamo individuato il sindaco Gualtieri e qualche figura di secondo piano, tra cui un sottosegretario, ma sembra che ci fossero anche un paio di ministri, che mi scuso di non aver riconosciuto. Inoltre personaggi dello spettacolo e protagonisti della vita mondana romana, signore in toilette eleganti, molti uomini in smoking, che da anni non si vedevano più nemmeno all’Opera. L’atmosfera non era però totalmente festosa a causa dei tragici eventi dei giorni scorsi e, prima che lo spettacolo iniziasse, il sovrintendente del teatro Francesco Giambrone ha chiesto un minuto di silenzio per le vittime di Casamicciola.
Per gran parte del pubblico Les dialogues des Carmelites di Francis Poulenc era un’opera nuova, perché non la si ascoltava a Roma da più di trent’anni, quindi molti spettatori non la ricordavano più e molti altri non potevano certamente essere all’Opera nel 1991 per ragioni anagrafiche. Va notato con compiacimento che non ci sono state defezioni durante questo spettacolo non breve e non propriamente divertente e che alla fine gli applausi sono stati calorosi al punto giusto, senza eccessi, perché Les dialogues des Carmelites non sono Il Trovatore né la Tosca ed esigono un ascolto diverso.
Si trattava di un nuovo allestimento di Emma Dante, con il contributo dei suoi collaboratori abituali: Carmine Maringola per le scene, Vanessa Sannino per i costumi e Cristian Zucaro per le luci, Sandro Campagna per i movimenti coreografici. È nella natura stessa della Dante non essere attratta da tematiche religiose e non credere in un teatro fatto di dialoghi, quindi un’opera intitolata Les dialogues des Carmelites sembrerebbe non essere assolutamente nelle sue corde. Certe azioni e immagini che si sono viste sul palcoscenico appartenevano infatti al teatro molto fisico e anche violento della Dante, più che a quello spirituale e meditativo di Bernanos (il libretto è tratto da una sua pièce teatrale) e di Poulenc, che erano profondamente cattolici e più precisamente due cattolici francesi, che avevano molto letto Pascal.
Non sarebbe giusto dire che la Dante tradisca lo spirito di quest’opera ma indubbiamente lo altera, restando tuttavia nei limiti concessi a una regia. Quel che le interessa delle protagoniste non è il loro essere suore (infatti non le veste come suore) ma il loro essere innanzitutto donne, che anche nel convento conservano il loro animo femminile e portano il loro vissuto, perché prima di prendere il velo “sono state sorelle, amanti, corpi desiderati, donne sensuali”, come afferma la Dante stessa, sebbene il testo sembri dire il contrario. Il martirio, a cui vanno incontro per loro scelta, non è per la Dante una sublime e coraggiosa testimonianza di fede cristiana ma è un simbolo della violenza sulle donne. Violenza che inizia nel convento, dove le novizie vengono sottoposte dalle consorelle al supplizio dello schiacciamento dei piedi con pesanti blocchi di pietra, rendendole claudicanti tutte e per sempre. Ma la violenza è soprattutto da parte degli uomini, nella fattispecie i rivoluzionari del 1794, che irrompono nel convento, impongono la loro volontà, danno ordini perentori, imprigionano le suore e infine le uccidono. L’unico momento di libertà queste donne lo hanno nel breve intervallo che segue a chiusura del convento da parte dei sanculotti e precede il carcere e il patibolo: allora le vediamo pedalare allegramente in palcoscenico su biciclette gialle, finalmente felici.
Le biciclette gialle, le pietre sui piedi e tante altre immagini che appartengono all’immaginario molto fisico, colorato, forte della Dante, stonano col tono grave e sommesso scelto da Bernanos e Poulenc. Così come stona la passione insopprimibile della Dante per i mimi - bravissimi, perché sono quelli della sua compagnia teatrale - che popolano tante scene in cui i personaggi dovrebbero essere soli o in piccolissimi gruppi, senza nessuno intorno, perché la solitudine è una delle vere protagoniste dell’opera. Nel bellissimo incontro tra suor Blanche e il fratello - un più che raro duetto operistico tra due fratelli, appassionato e straziante come un addio tra due amanti – ma anche in tante altre scene, i mimi sono non soltanto superflui ma dannosi. E inutili, perché, quando i personaggi restano soli la Dante gestisce benissimo la situazione, ottenendo una recitazione semplice e naturale, viva e intensa.
La direzione di Michele Mariotti ha scatti ritmici molto marcati dal sapore stravinskiano, possenti interventi degli ottoni e perentori e drammatici ‘fortissimo’: in questo la direzione si adegua al tono molto forte della regia, ma sono brevi momenti che si basano sempre sulla partitura, tutt’al più accentuandone certi colori, e che squarciano solo per un attimo il tono grave e meditativo di questa musica, creando degli efficaci contrasti. D’altra parte Mariotti non si lascia sfuggire le infinite sottili sfumature che Poulenc sparge a piene mani per definire atmosfere, situazioni e personaggi. Il risultato è una delle più belle, complete e memorabili interpretazioni del capolavoro di Poulenc che ci sia capitato di ascoltare. L’orchestra del Teatro dell’Opera ha risposto come meglio non si potrebbe. Ottima anche la prova del coro femminile (quello maschile canta poche note) che per la prima volta era preparato dal nuovo maestro del coro Ciro Visco, subentrato a Roberto Gabbiani, cui va un ringraziamento per l’ottimo lavoro svolto per ben dodici anni all’Opera.
Un convento di carmelitane non è il luogo adatto a fare le dive e l’omogeneità dell’ottima compagnia di canto rispettava questo presupposto. È comunque doveroso iniziare da Corinne Winters, nella parte della protagonista Blanche, di cui ha offerto una bella interpretazione con la sua voce omogenea e dal timbro scuro, ma anche un po’ povera di vibrazioni. Più vive e palpitanti Emöke Baráth (Constance), Ekaterina Gubanova (Marie de l’Incarnation) ed Ewa Vesin (Madame Lidoine). Si è confermata interprete di grande intelligenza e forza comunicativa Anna Caterina Antonacci, interprete della vecchia priora, che esce di scena presto ma ha una grande scena tutta per sé (purtroppo disturbata dall’invadenza della regia). Relativamente brevi le parti affidate alle voci maschili di Boogdan Volkov (bellissima la sua scena con la sorella Blanche), Alessio Verna (impressionante nei suoi brevi interventi), Jean-François Lapointe (padre di Blanche), Krystian Adam (elemosiniere del convento), Roberto Accurso (un ufficiale) e William Morgan (commissario). Bene anche Irene Savignano, Sara Rocchi e Andrii Ganchuk, tre giovani diplomati del progetto “Fabrica” del Teatro dell’Opera.
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