Émilie per quattro
Allo Staatstheater di Mainz un nuovo allestimento dell’opera di Kaija Saariaho ispirata alla breve ma intensa vita di Émilie du Châtelet
Secondo Émilie du Châtelet per essere felici “bisogna essersi liberati dai pregiudizi, essere virtuosi, sani, avere gusti e passioni, ed essere suscettibili di illusioni.” Che Émilie sia stata felice in vita è molto possibile. È invece certo che la sua breve vita si sia svolta libera dal pregiudizio e soprattutto sia stata animata da fortissime passioni. Figlia di una famiglia della nobiltà minore, Émilie onora le tappe obbligate dalla condizione femminile: a diciotto anni si sposa con il trentaquattrenne marchese Florent-Claude du Chastellet-Lomont, mette al mondo tre figli (l’ultimo muore a poco più di un anno) e a ventisei anni, con l’accordo del consorte, lascia la famiglia per consacrarsi a un’attività di studio della matematica e della fisica. Da donna libera, stringe un sodalizio con Voltaire, conosciuto anni prima nel salone del padre, destinato a durare dieci anni e che frutterà numerose pubblicazioni anche filosofiche. Ha 41 anni quando conosce il poeta Jean François de Saint-Lambert. Fra i due scoppia la passione che le procura una tardiva maternità: il 4 settembre 1749 nasce Stanislas-Adélaïde, destinata a vivere nemmeno due anni. Émilie, invece, si spegne il 10 settembre per embolia polmonare. Ha soli 42 anni.
A questa straordinaria figura di donna Kaija Saariaho si ispirò per Émilie, un lavoro andato in scena per la prima volta all’Opéra de Lyon nel 2010 con protagonista il soprano Karita Mattila, dedicataria della composizione, sulle cui qualità vocali la compositrice aveva modellato il lavoro. Come L’amour de loin, l’opera più compiuta della compositrice finlandese scomparsa lo scorso anno, anche il testo di Émilie si deve allo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, che immagina un solo personaggio, Émilie, alle prese con i propri ricordi, le riflessioni e i presentimenti alla vigilia di quell’ultimo parto che si rivelerà fatale. Il monologo di Émilie è strutturato su una sequenza di nove scene (Pressentiments, Tombe, Voltaire, Rayons, Rencontre, Feu, Enfant, Principia, Contre l’oubli) eseguite senza soluzione di continuità e con una certa omogeneità di scrittura e flessibilità ritmica, che, nelle intenzioni della compositrice, “rappresenta Emilie, i suoi pensieri e i suoi sentimenti. e l'orchestra si esercita in base al ritmo del suo respiro.”
Eseguita per la prima volta all’Opéra de Lyon nel 2010, dopo diversi allestimenti in Europa ma anche negli Stati Uniti e in Australia, Émilie è stato presentato in un nuovo allestimento allo Staatstheater di Mainz. Nell’accattivante dispositivo scenico di Philipp Contag-Lada, fatto di quattro stanze pressoché identiche in forte prospettiva e con uno scrittoio e un manichino come unici elementi di arredamento, per rendere giustizia alla multiforme personalità della vera Émilie il regista Immo Karaman moltiplica per quattro le presenze in scena: tre cantano con le voci dei soprani Julietta Aleksanyan, Alexandra Samoulidou e Maren Schwier, mentre una, Bettina Fritsche, resta immagine muta e immutabile, mentre le altre si liberano via via degli accessori del sontuoso abito settecentesco (disegnato da Fabian Posca) quasi alla ricerca di una verità sotto la crinolina. Anche i movimenti, all’inizio in sincrono, divergono quasi a rendere visivamente una traiettoria esistenziale tutt’altro che lineare.
Alla strumentazione per un’orchestra ridotta ma non nello spettro coloristico e arricchita dal suono “d’epoca” del clavicembalo oltre che da un articolato gruppo di percussioni e un uso parsimonioso dell’elettronica in funzione teatrale, rende giustizia l’attenta direzione di Hermann Bäumer alla testa degli strumentisti della Philharmonisches Staatsorchester di Mainz.
Pubblico piuttosto scarso già alla seconda recita, ma caldi applausi per tutti.
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