Elphi applaude ai dieci anni di Leonore
Standing ovation alla Elbphilharmonie di Amburgo per la Nona di Beethoven diretta da Daniele Giorgi
Appuntamento finale della tournee pensata per celebrare i dieci anni dell’orchestra Leonore – progetto artistico promosso da Fondazione Teatri di Pistoia con il sostegno di Fondazione Caript – la serata accolta domenica scorsa dal pubblico che ha affollato la Großen Saal dell’Elbphilharmonie di Amburgo ha suggellato nel migliore dei modi una successione di concerti che hanno fatto tappa in città italiane quali Pistoia, Perugia e Rimini, per approdare quindi in Germania e lambire le acque del fiume Elba.
Inaugurata nel 2017, a dieci anni dalla posa della prima pietra e a diverse fasi di lievitazione di un budget che è arrivato – non senza qualche polemica – alla cifra di circa 789 milioni di euro, l’Elbphilharmonie – per gli amici “Elphi” – è stata progettata dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron e rappresenta uno degli edifici concertistici più grandi ed acusticamente avanzati a livello mondiale, vantando sale da 2.100 posti (Great Concert Hall) e 550 posti (Recital Hall), oltre alla Kaistudio, sala didattica da 170 posti. Completata da servizi quali ristoranti, bar, un hotel di lusso e un parcheggio, l’Elbphilharmonie con i suoi 26 piani – di cui i primi 8 sono rappresentati dalla facciata originale in mattoni del magazzino per i semi di cacao Kaispeicher A, risalente al 1966 – è oggi tra i monumenti più significativi di una delle più importanti città portuali del territorio tedesco.
Un luogo che aveva già accolto Daniele Giorgi e l’Orchestra Leonore lo scorso mese di aprile, facendo registrare il “tutto esaurito” con standing ovation finale, situazione replicata sostanzialmente anche in questa occasione, in cui ad affiancare il direttore fiorentino e la “sua” compagine orchestrale abbiamo trovato il Philharmonischer Chor München – che, in occasione delle tappe italiane, tornava nel nostro Pese dopo trent’anni – preparato da Andreas Herrmann.
La pagina scelta per questo tour celebrativo è stata quel monumento del repertorio sinfonico tedesco – e universale, naturalmente – incarnato dalla Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra op. 125 di Ludwig van Beethoven, opera in questa occasione celebrata a distanza di duecento anni dalla sua prima esecuzione. Un brano volutamente simbolico – come sottolinea lo stesso Daniele Giorgi – qui introdotto dall’Ouverture da concerto in sol maggiore di Luigi Cherubini, composizione del 1815 i cui caratteri vivaci hanno dato modo di godere di un primo assaggio da un lato della reattività di una compagine orchestrale capace di bella affinità d’insieme, e dall’altro lato della risposta sonora di una sala la cui acustica è stata disegnata dal giapponese Yasuhisa Toyota.
Carattere, quest’ultimo, che ha segnato l’esecuzione dell’estrema pagina sinfonica beethoveniana, rappresentando uno sfondo acustico dalla rispondenza verrebbe da dire chirurgica per la nettezza di definizione timbrica delle famiglie strumentali. Un dato che ha permesso di apprezzare la precisione degli interventi solistici così come degli attacchi e degli scarti dinamici di insieme di una formazione che ha confermato una compatta identità, composta dalle individualità di musicisti provenienti da percorsi e generazioni differenti ma capaci di ricondurre in questa dimensione orchestrale le proprie sensibilità a una sintesi condivisa.
Una sorta di respiro comune scandito dai gesti tratteggiati dalle mani libere di Daniele Giorgi, la cui direzione ha saputo dare forma a un segno interpretativo che dall’elegante misura dell’Allegro ma non troppo iniziale è passato agli scarti dinamici del Molto vivace seguente, sbalzati con passo un poco più deciso che ha poi condotto a quel rapinoso intarsio poetico rappresentato dal successivo Adagio molto e cantabile, nobile porta di accesso per quel sublime affresco espressivo rappresentato dall’ultimo movimento.
Qui il colore di questa formazione orchestrale, che già dal nome beethoveniano dichiara un indirizzo estetico preciso – plasmato invero attraverso un suono la cui elegante morbidezza profuma di caratteri che vorremmo definire italiani –, si è fuso con palese affinità con l’impasto denso e preciso del Coro Filarmonico di Monaco, restituendo un’interpretazione morbida e pregnante di una delle più celebri ed ecumeniche pagine sinfoniche dell’intero repertorio. Una lettura che ha trovato nel complesso adeguata rispondenza anche negli interventi dei solisti Nika Gorič (soprano), Natalya Boeva (mezzosoprano), Matthew Swensen (tenore) e Roberto Lorenzi (basso).
Alla fine, come anticipato, i calorosi applausi – offerti curiosamente anche tra un movimento e l’altro – del pubblico che affollava la sala principale dell’ Elbphilharmonie ha salutato tutti gli artisti impegnati, tributando loro un’eloquente standing ovation.
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