“Das Rheingold” alla Scala
Punto di forza la direzione di Simone Young, in scena l’allestimento fantasy di David McVicar
Das Rheingold arriva alla Scala dopo la rinuncia di Christian Thielemann, ufficialmente per salute, ma velata di polemica, a dirigere l'intera Tetralogia, che si concluderà nel marzo del 2026. A sostituirlo si alternano sul podio Simone Young e Alexander Soddy, questa nota è redatta dopo l'ascolto della replica del 31 ottobre, diretta da Simone Young.
Tanto di cappello a David McVicar che ha scelto di mettere in scena una favola; niente dei che scrivono sui computer, niente dee con cellulari e nemmeno giustificazioni psicologiche, insomma nessuna tentazione di rivificare l'opera con della paccottiglia verista. La prima giornata del Ring wagneriano acquista così una linearità quasi infantile, ispirata al mondo fantasy e sostenuta dalle scene firmate dallo stesso regista e da Hannah Postlethwaite e i costumi di Emma Kingsbury. Dopo aver accettato il gioco ed esserne diventato complice, allo spettatore manca però qualcosa ed è il mistero con le sue ambiguità inventato da Wagner, impossibile da semplificare. Il regista indica una linea conduttrice, la smania di ricchezza, rappresentata dalla mano rapace dipinta sul sipario che scansiona le varie scene e dalle mani gigantesche con le quali convivono le figlie del Reno. Per chi non lo capisse, ci ha aggiunto un ballerino nudo che si contorce per simboleggiare il flusso del Reno, a cui viene strappata la maschera d'oro, e che al termine ricompare malconcio per rotolarsi in scena. A parte questo effettaccio, è ben riuscito il mondo sotterraneo dei Nibelunghi col teschio d'oro che ingurgita le pepite scavate dai nani e la magica apparizione del serpentone. Come pure i due giganti sui trampoli e i testoni da Bread & Puppet. Ma tutto il resto risulta sempre farraginoso, talvolta addirittura statico, coi cantanti impalati sul palco, alla vana ricerca di una ragion d'essere.
Il cast è di buon livello, il migliore è Ólafur Sigurdarson nei panni di Alberich, disinvolto Norbert Ernst in quelli di Loge che si sbraccia per evocare le fiamme, coadiuvato dalle braccia di due mimi alle sue spalle che lo rendono quasi una divinità indù. Autorevoli Ain Anger (Fafner) e Wolfgang Ablinger-Sperrhacke (Mime), mentre Michael Volle storico Wotan non ha più l'impeto vocale per sostenerne il ruolo. Buone tutte le voci femminili. Punto di forza di questa edizione è senza dubbio Simone Young sul podio; la direttrice australiana, che si è già cimentata con la Tetralogia a Bayreuth, ha ottenuto dall'orchestra una straordinaria trasparenza e retto un perfetto equilibrio col palcoscenico. L'unico neo è stato talvolta la scarsa presenza degli archi rispetto ai fiati, per esempio nel magma sonoro del mi bemolle iniziale i contrabbassi non arrivano in sala, come anche i violini quando c'è l'evocazione del Reno da parte delle tre figlie.
A fine serata applausi per tutti, in special modo per Simone Young. Si replica il 3 novembre e con Alexander Soddy sul podio il 5, 7, 10 novembre.
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