Cecilia Bartoli resuscita il Teatro Galli

Riapre con Cenerentola il teatro di Rimini, dopo 75 anni di attesa

La Cenerentola
La Cenerentola
Recensione
classica
Rimini, Teatro Galli
La Cenerentola
28 Ottobre 2018

In simili circostanze si parla a ragione di “evento”: un teatro risorge dopo 75 anni di attesa. Bombardato nel 1943, del Teatro Amintore Galli di Rimini restava sulla piazza principale la nobile facciata, a perpetua memoria dello sfregio, e dietro ad essa l’imponente foyer; ma ciò che erano stati la platea e il palcoscenico, per oltre mezzo secolo furono adibiti a palestra comunale, e il perimetro a parcheggio: chi guardasse l’immagine dall’alto presente su Google Maps vede ancora lo squarcio a forma di anfiteatro.

Ognuno dei tanti teatri bombardati in Italia ha avuto sorte diversa: il Corso di Bologna fu definitivamente abbattuto a guerra conclusa, la Scala di Milano venne ricostruita in pochi mesi. A Genova, ad Ancona, a Rimini le cose andarono invece per le lunghe, e solo dopo molti decenni sono state ricostruite le strutture sfondate dalle bombe del Carlo Felice (1991), del Teatro delle Muse (2002) ed ora del Teatro Galli (2018). Ma mentre i primi due sono rinati con una sala teatrale di nuova concezione, a Rimini si è ripresa l’architettura originale del 1857, accontentando alcuni e scontentando altri.

Se per la prima inaugurazione si era scomodato Giuseppe Verdi, che per quel teatro scrisse l’opera Aroldo (caso unico nella sua lunga carriera), per la seconda i riminesi si sono assicurati la diva del momento, Cecilia Bartoli: doppio evento, dunque, considerate quante poche esecuzione operistiche l’hanno vista protagonista in Italia nell’ultimo quarto di secolo. La scelta della Cenerentola non poteva essere più indicata, dato il concomitante anniversario di Rossini (Rimini sta a metà via fra le sue due patrie Lugo e Pesaro) e la stretta identificazione con quell’opera dell’amatissima primadonna d’ascendenze riminesi.

La sua prestazione ha confermato tutto quanto già sapevamo: la voce, che mai fu rotonda e rigogliosa, è ora asciutta e nettamente spartita in tre registri, come era per le grandi primedonne contralto del belcantismo ottocentesco, carica di colori differenti fra l’acuto, il medio e il grave, al pari di un clarinetto. Ciò produce una variabilità di timbri messi al servizio dell’interpretazione drammatica, più ancora che vocale, dove ogni parola (splendidamente comprendibile oltre la media di una qualunque voce femminile) riceve la propria specifica inflessione prosodica.

Doti rare, riscontrate anche negli altri interpreti dell’ottimo cast, con Alessandro Corbelli e Carlos Chausson nelle parti dei due buffi a confermare la loro predilezione per un istrionismo elegante e misurato, ed Edgardo Rocha nuova star del tenorismo rossiniano. 

Tutti nomi che latitano al Festival Rossini di Pesaro, così come ancora assente è in Italia la pratica di eseguire Rossini con strumenti antichi: Le Musiciens du Prince, sotto la salda direzione di Gianluca Capuano, hanno portato in evidenza colori orchestrali che non conoscevamo in quelle pagine notissime, aggiungendovi qua e là arguti effetti rumoristici che hanno contribuito alla regia sonora dello spettacolo.

Ecco, la regia (una produzione di Claudia Blersch che sta ora girando l’Europa): in una dimensione cosiddetta semiscenica (orchestra in palcoscenico, cantanti al proscenio, costumi perfetti, quattro sedie, un tavolino e null’altro) l’azione era tutta costruita attraverso i gesti verbali, sonori e visivi, sempre dettati dalla parola e correlati alla musica, forte dell’altissima comunicativa attoriale degli interpreti, cui basta alzare il sopracciglio per comunicare un mondo: insomma, la semplicità fatta teatro, che dà uno schiaffo morale alle più recenti produzioni del Rossini comico astruse e lambiccate.

A indicare il livello del successo della serata basta ricordare la standing ovation della platea scattata in piedi sull’ultimo accordo dell’opera: un successo che si raddoppiava sulla piazza antistante il teatro, dove lo spettacolo veniva proiettato, e coronato a conclusione dal bis della stretta del Finale Primo. Insomma, una inaugurazione da troppo tempo attesa, ma risoltasi secondo i migliori auspici. 

La stagione continua con altri appuntamenti forti, fra cui spicca il Simon Boccanegradi Gergiev e Mariinsky (10-11 dicembre); e per l’anno prossimo è annunciato quell’Aroldo che a Rimini mosse i suoi primi e quasi unici passi.

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Ad Amsterdam Romeo Castellucci mette in scena “Le lacrime di Eros” su un’antologia di musiche del tardo rinascimento scelte da Raphaël Pichon per l’ensemble Pygmalion 

classica

Madrid: Haendel al Teatro Real

classica

A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln