Un Amico Fritz che enfatizza un'ambientazione rustica, di carattere neo-verista,vitale e duttile la prestazione di Cecilia Gasdia, Andrea Bocelli un po' incolore e vocalmente contenuto
Opera verista o idillio pastorale? L'Amico Fritz di Mascagni ha sempre prospettato questo dilemma di fronte al quale, di volta in volta, si sono trovate ad orientarsi diverse scelte interpretative. Le sue incongruenze sul piano drammaturgico a fronte di un impianto musicale ben costruito, di grande impatto e ricco di colore sentimentale, pongono in tal senso dei problemi anche rispetto al carattere dei personaggi e, in particolar modo, dell'ambiguo Fritz Kolbus: delicato vagheggino o spirito irruente e appassionato. E l'attesa performance di Andrea Bocelli nello spettacolo veronese non scioglie questo nodo, presentando un Fritz, dai tratti leggeri, ma con una caratterizzazione sostanzialmente incolore. Tratti delicati di una vocalità che perviene anche ad esiti di particolare finezza, nei momenti più 'intimistici', come nel "duetto delle ciliegie" o in "Tutto ho tentato... tutto e sempre invano", all'inizio del terzo atto, ma che negli episodi più carichi di vis drammatica, come "Ed anche Beppe amò" e il duetto finale, non riesce a 'sfondare' ed emergere da una sorta di opacità espressiva. La Suzel di Cecilia Gasdia di si viene caratterizzando, fin dal suo esordio - pur con qualche incertezza nel registro basso - con un piglio vocale ricco di sfumature, evidenziando mestiere e perizia interpretativa, sia nel respiro e nel pathos che conferisce alla frase musicale sia nel muoversi con un'agilità da animale da palcoscenico. E' una Suzel assai vitale e 'popolana', che dissimula riservatezza e pudore, per lanciarsi senza freni nella passione: efficace ed applaudito, tra gli altri, il suo "non mi resta che il pianto ed il dolore". L'ambientazione scenografica di Edoardo Sanchi e l'impianto registico di Marco Gandini tendono in tal senso a connotare l'aspetto rustico: un bellissimo pannello di assi, una sorta di silos con elementi apribili, scale a pioli, in una dimensione agreste, molto 'verista'. Duttile e robusto il David di Mastromarino e buona la caratterizzazione di Beppe che ne dà Tiziana Carraro. Efficace la direzione di Steven Mercurio che sembra prediligere i 'tempi lenti', dilatando troppo talvolta l'assetto di certi episodi. Teatro Filarmonico pieno e consenso diffuso del pubblico veronese, con chiamate ripetute del cast.
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