Applausi per Werther a Verona
Ottima la prova di Dmitry Korchak
C’era grande attesa per il ritorno al Filarmonico di Verona di Werther di Massenet dopo 45 anni di assenza e le aspettative non sono state deluse. Merito soprattutto di un grande interprete, il tenore russo Dmitry Korchak, che ha incantato la sala con l’eleganza e perfezione del suo canto, i suoi acuti squillanti e i pianissimo magistralmente smorzati, grande tecnica al servizio di un’interpretazione molto naturale che non può lasciare indifferenti per quanto è profondamente toccante.
Il pubblico chiede il bis del suo meraviglioso Pourquoi me réveiller e la seconda prova è incredibilmente ancora più bella, più perfetta e commovente, della prima. Ma anche il resto del cast è di ottimo livello e funziona nel complesso l’allestimento firmato da Stefano Vizioli e prodotto dai Teatri di OperaLombardia all’inizio della pandemia e, finita l’emergenza, ripreso con qualche adattamento.
Le essenziali scene di Emanuele Sinisi, dominate dal bianco, si impreziosiscono con proiezioni di filigrane di foglie per celebrare la natura, oppure di una grande luna per il duetto tra Werther e Charlotte al primo atto, ma anche di fasce oblique di colore che dall’azzurro del cielo chiaro virano al rosso del sangue che annuncia l’inevitabile tragica fine. E dalla fine ha scelto Vizioli di cominciare aprendo lo spettacolo con una Charlotte vecchia immobile su una sedia che, con una lettera in mano, ricorda il suo amore impossibile. Ma la sorpresa arriva alla fine, inaspettatamente tutto il quarto atto è proposto nuovamente con la vecchia Charlotte che ricorda la sua corsa nella stanza di Werther, corsa vana perché già lui si è sparato. La morte di Werther cosi diventa un intreccio tra dramma presente e dolore che il tempo non è riuscito a cancellare, lei resta seduta nella sua sedia d’anziana fino a sparire nel nero, lui ferito avanza verso di lei ma non la raggiungerà mai.
Nella parte di Charlotte il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaja, in alternanza con Chiara Tirotta. La brava Berzhanskaja all’inizio lascia perplessi perché il suo bel timbro scuro poco sembra corrispondere ad un personaggio descritto come un angelo, ma dopo l’intervallo, quando si entra nel vivo della tragedia, la sontuosità della voce corrisponde in pieno alla drammaticità del dilemma che vive la donna e le sue sonore note gravi sono ben bilanciate da altrettanto pieni acuti luminosi. Voce chiara e fresca, perfetta per la parte della sorellina Sophie, invece quella del soprano Veronica Granatiero, anche giustamente sbarazzina nell’interpretazione.
I baritoni Youngjun Park e Gëzim Myshketa sono poi, rispettivamente, il padre e il fidanzato di Charlotte, entrambi dalla bella voce e bravi ma dalla recitazione meno naturale. In generale, i movimenti dei diversi interpreti, compresi i bambini, sono un po’ troppo sottolineati, la parte dal sapore più vecchio dello spettacolo. Ciò vale in particolare per le figure dei due amici Johann e Schmid, un po’ troppo macchiettistici, interpretati dai bravi Gabriele Sagona e Matteo Mezzaro. Eccessivo anche l’uso delle scritte, soprattutto nel finale, perché l’effetto è ripetitivo dopo che hanno invece ben funzionato per sottolineare il doloroso significato delle parole per i due innamorati.
Molto bene la prestazione dell’orchestra diretta da Francesco Pasqualetti che è all’altezza della raffinata strumentazione di Massenet che include pure la presenza, per allora nuovissima, del sassofono e che si fa ammirare in particolare in un preludio che introduce i due atti finali, efficacemente presentati senza interruzione, che riassume i temi musicali che rappresentano i diversi sentimenti dei protagonisti, accrescendo così l’intensità del finale. Un plauso per il coro di voci bianche A.Li.Ve. ben preparato da Paolo Facincani e meritano una citazione le luci di Vincenzo Ramponi, in una messa in scena che gioca anche molto sulle ombre e sulle luci, oltre che sui bei visual dell’Imaginarium Creative Studio.
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