Ancora la solita Bohème

A quarant'anni dall'esordio scaligero torna a Roma, dove già la si era vista varie volte, la Bohème di Franco Zeffirelli. Ma gli anni passati hanno deposto un denso strato di polvere su uno spettacolo che allora era sembrato giovane e nuovo.

Recensione
classica
Teatro dell'Opera Roma
Giacomo Puccini
20 Giugno 2003
Era il 1963 quando questa Bohème fu vista per la prima volta, alla Scala. Allora Zeffirelli era giovane e, rispetto alle polverose Bohème che si era abituati a vedere, la sua sembrò semplice, naturale, vera. Ora è stata riproposta dall'Opera di Roma per celebrarne il quarantennale, ma è sembrata polverosa a sua volta, anche perché tanti l'hanno scopiazzata, facendo apparire vecchio e usurato anche quel che in origine era giovane e nuovo. Il secondo quadro è un tipico esempio di horror vacui zeffirelliano, con la folla distribuita perfino sul tetto della veranda del Café Momus, in un pullulare di controscene, senza dimenticare gli animali, che il pubblico (o piuttosto la claque) applaude a scena aperta. Il terzo quadro è un esempio altrettanto tipico del dolciastro bozzettismo zeffirelliano: la misera sfilata degli spazzini e dei contadini sotto gli occhi dei doganieri è celata e la fredda e desolata alba invernale alla periferia d'una grande metropoli moderna è invece ravvivata da vispi scolaretti che si tirano allegramente palle di neve. Cast giovane, forse per emulare la giovinezza di Mirella Freni e dei suoi compagni di quel lontano 1963. Ma la giovinezza anagrafica contrasta col modo di cantare di Carla Maria Izzo, che sembra aver studiato la parte di Mimì su un disco di cinquant'anni fa. Punta tutto su una voce bella e generosa, ma stiracchiata nel registro acuto, con una pronuncia o piuttosto una non-pronuncia fastidiosissima e con una pressoché totale assenza d'interpretazione. Senza contare che sembrerebbe che il suo amore non sia Rodolfo ma il direttore, perché non gli stacca gli occhi di dosso. Non è la parner ideale per Massimo Giordano, che dà un interessante interpretazione di Rodolfo come artista moderno, nevrotico e debole. Questo tenore non ha una voce naturale ma se l'è costruita con pazienza: forse gli resta ancora qualche piccola falla da colmare, ma è difficile ascoltare una Gelida manina cantata con altrettanta delicatezza di sfumature. Ottimi il Marcello di Dario Solari, ormai uno specialista del ruolo, e lo Schaunard di Natale De Carolis. A posto il Colline di Andrea Papi e la Musetta di Olga Mykytenko. E con simpatia e affetto si è visto il grande Giuseppe Taddei tornare a calcare le scene come esuberante (all'incredibile età di ottantasette anni!) Benoit. Da Gianluigi Gelmetti, che ha già dimostrato più volte di avere una grande sintonia con l'opera italiana degli ultimi anni dell'Ottocento e dei primi del Novecento, non ci si poteva attendere nulla di meno di una lettura attenta, amorevole e approfondita della Bohème. È quanto si è avuto nei primi due quadri, ma negli ultimi due si è avuto molto di più, con momenti da brivido per facevano apparire in una luce nuova certi dettagli ascoltati cento volte senza sospettarne mai la cruda modernità. Accoglienze molto calorose per Gelmetti, segno d'un feeling col pubblico romano che è di buon auspicio per il futuro dell'Opera. Applausi moderati per gli altri.

Note: Allestimento del Teatro alla Scala di Milano

Interpreti: Izzo/Tola/Bertazzi, Tasca/Mykytenko, Giordano/Valenti, Gagliardo/Solari, Papi/Esposito, De Carolis/Morace, Taddei/Di Bagno

Regia: Franco Zeffirelli

Scene: Franco Zeffirelli

Costumi: Piero Tosi

Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma

Direttore: Gianluigi Gelmetti

Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma

Maestro Coro: Andrea Giorgi

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