Wagner secondo Simone Young

Walkiria alla Scala

La Walkiria (Foto Brescia e Amisano)
La Walkiria (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
La Walkiria
05 Febbraio 2025 - 23 Febbraio 2025

Il Ring scaligero, iniziato con Das Rheingold lo scorso ottobre, prosegue ora con Die Walküre, sempre con Simone Young sul podio, in alternanza con Alexander Soddy a cui sono affidate le ultime tre repliche. La messa in scena fantasy di David McVicar questa volta è in parte ridimensionata dalla presenza degli umani, portatori per volontà di Wagner di  sentimenti che poco si adattano all'autorità burocratica del Walhalla, anzi finiscono per contaminare gli stessi dei. E va riconosciuto al registra il grande garbo con cui tratta la progressiva agnizione amorosa della coppia incestuosa e il rapporto di Wotan (Michael Volle, autorevole e toccante) con la figlia ribelle (Camilla Nylund, una Brünnhilde di classe). È però soprattutto la scenografia a evocare l'atmosfera da favola fin dall'inizio: l'uragano che esplode sulle ultime note del preludio e quasi entra in sala, la capanna-antro di Hunding (Günther Groissböck, brutale e perfido al punto giusto) con un frassino ormai avvizzito sorretto da pali, il Walhalla arredato con menhir e un gigantesco mappamondo che a un tratto vien fatto rotolare via da servi di scena a torso nudo. È qui che governa Fricka, impersonata da Okka von der Damerau, che con voce autorevolissima condanna a morte i due innamorati. Siegmund è Klaus Florian Vogt, tenore eroico all'altezza del personaggio anche per gestualità, mentre Sieglinde è Elza van den Heever, parsa un poco esile vocalmente nel primo atto, ma che si è pienamente riscattata in seguito. La sua presenza è  determinante per come riesce ad essere punto di riferimento anche quando non canta, per il modo di porsi in scena e misurare ogni movimento. Le otto valchirie sono invece un mondo a sé stante, leggermente punk, ma ci stanno bene, anche così sgangherate. Quelli che invece disturbano sono i cavalli, impersonati da ginnasti su trampoli che sembrano arti artificiali da paraolimpiadi, con delle teste equine scheletriche e argentate che gli pendono sul capo. Pazienza se il destriero è uno solo e accompagna Brünnhilde, ma per la cavalcata di gruppo diventano davvero troppi e ingombranti e macabramente ridicoli. Più che fingere di caracollare non possono fare e alla fine il loro dimenarsi si riduce a un vero e proprio balletto, che avrebbe di certo fatto inorridire Wagner. Davvero una scena da cancellare in blocco.

Punto di forza di questa edizione è senza alcun dubbio la direzione di Simone Young, che ha un completo controllo del rapporto fra palcoscenico e orchestra. Sonorità possenti sempre chiarissime e momenti delicati cesellati con cura. La tensione è continua ed è anche merito suo se le lungaggini di certi dialoghi scivolano via con naturalezza. A essere pignoli il piglio robusto del podio nuoce talvolta ad alcuni momenti. Per esempio nel primo atto il racconto di  Sieglinde, che evoca la visita del viandante misterioso, non ha il tono epico di alcune storiche edizioni che lo trasforma quasi in un'opera nell'opera. Come pure l'incantesimo del fuoco che manca dell'estenuante languore necessario nel finale. Ma tout se tient e va preso atto dell'ottima scelta fatta dal sovrintendente Dominique Meyer, quando Christian Thielemann aveva dichiarato forfait.

Al termine applausi per tutti, ovazioni per Simone Young e sonori buu dal loggione per David McVicar.

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