A Venezia il gioioso virtuosismo dei fratelli Jussen
Entusiasmano i giovani pianisti Arthur e Lucas Jussen nel recital al Teatro Malibran per il programma di Musikámera
Entrano con andatura spigliata sul palcoscenico del Teatro Malibran e si siedono uno accanto all’altro per l’inconsueto Mozart della Sonata in do maggiore K 521. La gestualità non è quella ieratica del cliché del pianista ispirato, ma denota quasi una simbiosi anche fisica che, pur nei concitati movimenti che manifestano percorsi mentali diversi, si traducono in una intima comunione espressiva. Quasi un “marciare divisi, colpire uniti” declinato in musica. Non sono gemelli i due Jussen del pianoforte, ma Lucas, classe 1993, e Arthur, classe 1996, si direbbero indistinguibili, non tanto per l’indubbia somiglianza ma anche per l’abitudine a portare, almeno in concerto, abiti uguali (e non fa eccezione il concerto veneziano, nel quale si presentano con due giacche con abbottonatura laterale di foggia vagamente orientale) ma perché il loro percorso artistico è quello di due inseparabili. C’è certo del marketing ma c’è anche molta sostanza musicale che gli Jussen dimostrano generosamente nel recital veneziano inserito nel cartellone di Musikámera che propone un programma fatto di composizioni di raro ascolto e in uno stimolante impaginato già lungamente rodato nelle sale da concerto di mezzo mondo.
Già dal brillante Mozart di apertura, l’ultima composizione del Salisburghese per pianoforte a quattro mani, gli Jussen espongono plasticamente l’essenza del loro pianismo nel brillante gioco di passaggi fra i momenti più melodici e quelli virtuosistici, che vengono esaltati specialmente nell’Allegretto del movimento conclusivo. Lo stesso energico virtuosismo risalta anche nello Schumann dell’Andante con Variazioni op. 46 presentato nella consueta versione per due pianoforti (senza doppio violoncello e corno come nella versione originale) più che i delicati cromatismi dei passaggi intimistici. Già nel titolo di ascendenza schumanniana è chiaro il legame di Bunte Blätter di Jörg Widmann, composizione del 2022 che spezza la sequenza rigorosamente cronologica del programma. Primo vero pezzo per due pianoforti scritto da Jörg Widmann proprio per Arthur e Lucas Jussen, che l’hanno eseguito per la prima volta nella versione completa in sette movimenti un anno fa a Herlen nei Paesi Bassi e nel 2022 a Bochum in prima assoluta in una versione parziale fatta di quattro movimenti. A loro, in particolare, è dedicato il secondo movimento “Fangspiel”, ossia il gioco infantile dell’acchiapparello, nel quale i due interpreti sono impegnati in inseguimento sulle due tastiere attraverso una successione di frasi di crescente difficoltà tecnica. La composizione di Widmann, intrisa di citazioni ma trattate sempre con una certa leggera giocosità, è una sarabanda di brevi pezzi di carattere molto diverso, che, a parte l’omaggio in “Rätsel” a Peter Sloterdijk (librettista della sua finora unica opera, Babylon), attraversano forme e reminiscenze classiche come la Fanfara di apertura, un grande Walzer parzialmente decomposto, una Danza macabra e un pirotecnico finale circense (“Zirkusparade”), che ancora una volta diventa celebrazione delle capacità tecniche dei due pianisti.
La seconda parte si apre con il Novecento delle Six epigraphes antiques di Claude Debussy nell’adattamento per pianoforte a quattro mani dall’originale per due flauti, due arpe e celesta. Concepiti come interludi strumentali nella declamazione delle Chansons de Bilitis di Pierre Louÿs, le cinque composizioni sembrano piuttosto ispirate a un gusto per la melodia di semplicità arcaica. Solo nei misteriosi esotismi di “Pour l’égyptienne” e nel delicato puntillismo di “Pour remercier la pluie du matin” rivelano il Debussy delle trasparenze impressionistiche restituite con eleganza dall’intreccio di mani sulla tastiera. Alla chiusura sono riservati le impetuose volute dei quattro movimenti della Suite n. 2 op. 17 per due pianoforti di Sergej Rachmaninov. Opulenza sonora delle vivide immagini evocate dalla scrittura pianistica di Rachmaninov ed esuberante virtuosismo, soprattutto nel Presto della vorticosa “Tarantella” finale, sono ancora una volta la cifra di una impeccabile esecuzione accolta da applausi entusiastici del folto pubblico presente.
Il momento dell’introspezione arriva solo nell’unico bis concesso dai due fratelli Jussen, il bachiano “Aus Liebe will mein Heiland sterben” dalla Matthäuspassion BWV 244 in una insolita versione per due pianoforti, che è ulteriore conferma di una perfetta sintonia interpretativa.
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