Casanova o l’amore al tempo del woke 

L’Opera di Stoccarda riporta in scena la vecchia operetta di Ralph Benatzky con le musiche di Johann Strauss figlio in versione attualizzata 

Casanova (Foto Matthias Baus)
Casanova (Foto Matthias Baus)
Recensione
classica
Stuttgart, Opernhaus
Casanova
22 Dicembre 2024 - 08 Febbraio 2025

La Komische Oper targata Barrie Kosky fa scuola nel Paese. E la febbre da operetta jazz berlinese supera i confini della capitale tedesca e arriva fin nel profondo sud. L’Opera di Stoccarda riesuma Casanova, un pasticcio operettistico cucinato da Ralph Benatzky, il papà della celebre Al cavallino bianco, entrambi voluti dal regista e coreografo Erik Charell, impresario di genio del Großes Schauspielhaus (diventerà il vecchio Friedrichpalast, tempio della rivista nella Berlino sovietizzata), una delle sale nella costellazione dei teatri berlinesi di Max Reinhardt. 

Per la nuova “operette revue” Ralph Benatzky rispolvera le musiche di Cagliostro in Wien di Johann Strauss figlio vecchia di mezzo secolo e le aggiorna, innestando nei classici valzer viennesi balli alla moda (c’è anche un tango e un pizzico di jazz) e strumenti più moderni. Rudolph Schanzer e Ernst Welisch producono un nuovo libretto più intonato al genere rivista nel quale la già delicata drammaturgia dell’operetta viennese si apre ancor di più a numeri slegati e al servizio del puro intrattenimento. C’è comunque una trama, ancorché labile, che vede il celebre seduttore veneziano protagonista di un frenetico circuito amatorio con ballerine e aristocratiche in fregola organizzato in sette quadri fra Venezia, Tarragona, Vienna, Potsdam, Dux in Boemia e ancora Venezia nel pieno del suo orgiastico Carnevale. 

Il 1° febbraio 1928 Casanova è un enorme successo. La stampa, entusiastica, parla di “risurrezione dell’operetta”. Contribuiscono di sicuro l’ottimo lavoro di Charell che ingaggia alcune delle star dell’epoca (il basso-baritono protagonista Michael Bohnen è ospite regolare di Bayreuth), fra cui c’è anche il sestetto “a cappella” dei Comedian Harmonists, ai quali vengono affidati i brevi intermezzi cantati fra un quadro e il successivo. Ma di lì a poco arriva la scure nazista e lustrini e una certa libertà sessuale dei folli anni di Weimar finiscono bruscamente. Nella versione arrivata sul palcoscenico della Staatsoper di Stoccarda in questa stagione, inaugurata dal grande scandalo collettivo annunciato di Sancta firmata dalla regista e coreografa Florentine Holzinger, inevitabilmente aggiorna la materia originale con una dose significativa di sensibilità “woke”. Poco importa se il corpo dell’operetta sia fatto di materiali ed equilibri fragili, nell’allestimento firmato da Marco Štorman il plot originale viene svuotato per farne quasi una “lecture” di una Barbarina (la ballerina primo oggetto delle brame del seduttore nell’originale) particolarmente professorale che, fra un numero musicale e l’altro, discetta al microfono di amore nei secoli in tutte le sue forme e di limiti fra libertà e regole, partendo da ciò che resta delle liriche di Saffo, prendendo a prestito frammenti dal capitolo “I carmi d’amore di Saffo” dal brillante Inventario di alcune cose perdute di Judith Schalansky, Premio Strega europeo 2020. È Barbarina a guidare le danze (coreografate da Cassie Augusta Jørgensen, anche in scena come ombra di Barbarina) in questa festa dedicata a un decrepito Casanova, ennesimo simbolo del patriarcato, ridicolizzato al punto da farlo apparire da una enorme capasanta come una Venere botticelliana andata a male, nella parte alta della scena girevole disegnata da Demian Wohler, che fa pensare a una grande carcassa ricoperta dei lustrini di sipari e costumi (di Yassu Yabara), come ciò che resta della vecchia rivista di un secolo fa. Drammaturgicamente sbilenco e narrativamente poco lineare, questo Casanova fatica non poco a decollare e a trovare una chiave convincente, imbolsito da ideologia contemporanea e ricerca di una profondità che sarebbe degna di miglior causa e che finisce per neutralizzare anche gli spunti comici, tutti rigorosamente di grana grossolana. 

Il grande impegno dei tanti volenterosi interpreti coinvolti sul palcoscenico è solo in parte ripagato da un pubblico fin troppo abbottonato e forse perplesso, che solo alla fine delle due ore scarse di spettacolo si scioglie in applausi convinti. Va comunque elogiato l’impegno di tutti, a cominciare da Moritz Kallenberg, uno dei pochi musicalmente sintonizzati nel mondo sonoro dell’operetta, ben più dello stanco e logoro Casanova Michael Mayes. Riusciti sono soprattutto gli interventi dei numeri di insieme del Coro della Staatsoper di Stoccarda, ben preparato da Bernhard Moncado, e dai Comedian Harmonistst “reloaded” di Kai Kluge, Elmar Gilbertsson, Johannes Kammler, Florian Hartmann e ancora Kallenberg negli stranianti siparietti con accompagnamento del pianoforte. La diligente Barbarina di Maria Theresa Ullrich guida il comparto femminile corretto ma poco seduttivo anche vocalmente con Esther Dierkes, Stine Marie Fischer e Mara Guseynova poco più che comparse nel luccicante vuoto di questa poco riuscita riesumazione. Buona la prova della Staatsorchester Stuttgart diretta con vitaminica energia da Luka Hauser, talvolta poco sensibile alle fragilità vocali del palcoscenico ma ben intonato al sognante mondo del re del valzer. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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