Anna Caterina Antonacci e la mélodie  francese

Un memorabile recital all’Accademia di Santa Cecilia, con Donald Sulzen al pianoforte

Anna Caterina Antonacci e Donald Sulzen
Anna Caterina Antonacci e Donald Sulzen
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Sinopoli
Anna Caterina Antonacci e Donald Sulzen
18 Dicembre 2024

Un viaggio musicale nella fase novecentesca della mélodie  francese, che ci ha portati dai salotti parigini frequentati da Reynaldo Hahn nei primissimi anni del secolo ai circoli intellettuali ancora parigini ma cosmopoliti degli amici di Francis Poulenc negli anni Cinquanta, con escursioni in Grecia e a Roma e Venezia. E, nei bis, anche due rapidi salti fino a Napoli e Siviglia. Ci sono tutte le premesse per un viaggio musicale meraviglioso, che però potrebbe trasformarsi in un inutile percorso a tappe forzate, se non fosse effettuato in compagnia di una cantante che non si può definire altrimenti che straordinaria, perché lo è effettivamente: di eccellenti cantanti ce ne sono tante (non poi così tante) ma Anna Caterina Antonacci è veramente unica. La voce è ancora oggi bellissima, ove per bellezza s’intenda non tanto il dono naturale di sedurre l’orecchio quanto la capacità di instillare nell’ascoltatore una serie di sensazioni profonde e variegate, che possono cambiare  ad ogni frase, ad ogni parola e al limite ad ogni sillaba, tirando fuori tesori anche da musiche in cui non si sospetterebbe tanta ricchezza. E la Antonacci fa tutto questo anche se (o forse proprio perché) non ha una voce facile, in bilico com’è tra soprano e mezzosoprano.

Il Ravel delle Cinq mélodies populaires grecques, che mette un semplice (ma ovviamente raffinatissimo) accompagnamento pianistico sotto alcune canzoni greche, lasciando sostanzialmente immutata la melodia, introduceva le cinque canzoni della raccolta di Reynaldo Hahn intitolata Venezia: a differenza di quelle greche di Ravel, queste non sono canzoni popolari nel senso etnomusicologico del termine ma canzoni notissime a Venezia e fuori Venezia. Anche qui la melodia originale è sostanzialmente rispettata ma Hahn vi aggiunge un leggero, semplice, elegante accompagnamento pianistico. Sull’esempio di Ravel, si penserebbe. Ma in realtà sono state scritte tre anni prima di quelle Ravel: che Ravel abbia imitato Hahn? Impensabile, eppure… D’altronde allora era Hahn il più celebre e ammirato dei due, non soltanto nei salotti dell’alta società ma anche nei circoli intellettuali.  L’incanto notturno della laguna permeato di intensa sensualità de La barcheta  è assolutamente charmant  nella versione di Hahn ma diventa ancora più intenso se a cantarlo è la Antonacci. Ritroviamo un simile incanto nella celeberrima Biondina in gondoleta  ma a un certo punto le cose prendono qui una svolta comica: “m’ho stufà po’ finalmente”, dice lui, e poi passa ai fatti: “gh’ò fato da insolente”. Hahn ha qui un rivale temibile: di questa canzone anche Beethoven nel 1815 aveva dato una sua versione, che però cede il passo a quella di Hahn, più semplice e allusiva, più fedele all’originale e quindi paradossalmente più moderna. Sicuramente merito anche della capacità della Antonacci di giocare con ironia tra sogno romantico e realtà spicciola.

Che Hahn sia stato un musicista degno di considerazione e non solo l’amante di Proust era dimostrato ancor meglio da sette delle sue Études latines  su versi di perfetta bellezza di Leconte de Lisle. Qui il compito della Antonacci era ben più difficile. Questi miraggi di una natura arcaica, popolata da creature mitiche, sono mondi lontani e inattingibili, un tantino freddi, ma lei è riusciti a rendere affascinante la loro cristallina purezza, facendo avvertire la sottile ma pungente nostalgia per quella natura divina e incontaminata, che in quegli anni cominciava ad essere invasa e profanata dalla tecnologia. Diciotto anni dopo Ottorino Respighi si ispirò probabilmente a quello stesso mondo poetico-musicale nelle sue Deità silvane,  che non solo riprendono quei mitici paesaggi abitati da fauni e ninfe ma anche abbandonano il modello della romanza italiana e si accostano a quello della mélodie  francese. La Antonacci si è messa con dedizione e intelligenza rare al servizio di questi brani, che, pur non essendo dei capolavori assoluti, sono brani di notevole spessore e piuttosto impegnativi, che chiedono molto alla voce e non le concedono nessuna facile occasione per brillare.

Facendo un salto di quasi mezzo secolo, si passava a Francis Poulenc. Il suo Travail du peintre  è un’operazione raffinatamente intellettuale, che descrive il mondi dei grandi pittori del Novecento attraverso la mediazione dei versi di un grande poeta, Paul Éluard. Sembrerebbe veramente troppo intellettualistico, ma per merito di Poulenc, che ormai è stato rivalutato come uno dei grandi compositori del secolo scorso, e dell’interpretazione straordinaria della Antonacci, ci è sembrato di vedere attraverso l’udito il mondo fantastico, colorato e visionario di Picasso, Chagall e degli altri cinque pittori. Era ben diverso il monocromo del brano che concludeva il concerto, La Dame de Monte-Carlo, ancora di Poulenc, in cui la Antonacci rivelava un altro aspetto della sua grande e duttile personalità d’interprete, che sa muoversi anche sul sottile discrimine tra tragedia e ironia, sempre al servizio dell’autore che di volta in volta ha sul leggio (per modo di dire, perché non ha bisogno del leggio). 

Come primo bis, Lu cardillo, altra popolarissima canzone popolare dell’Ottocento e forse anche più antica, a cui la Antonacci ha restituito la semplice spontaneità e la nobiltà della grande musica popolare, sfoggiando oltretutto un napoletano di buona qualità, se si considera che è bolognese. E poi L’amour est un oiseau rebelle  della Carmen. Ascoltandolo dalla stessa Antonacci quattro anni fa al Festival della Valle d’Itria, temevo che non l’avrei mai più riascoltato cantato così, ma mi sbagliavo: l’ho riascoltato, il miracolo si è ripetuto.

Last but not least: al pianoforte stava l’ottimo Donald Sulzen, un partner degno di tale cantante.

Sala non così piena come avrebbero meritato una tale artista e un tale programma (forse un po’ troppo sofisticato per il grande pubblico) ma successo incandescente. 

 

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