Il pianoforte di Alexander Gadjiev e la seducente modinha a Città di Castello
Grande successo per i primi due concerti del Festival delle Nazioni, dedicato quest’anno al Portogallo
La cinquantasettesima edizione del Festival delle Nazioni si è inaugurata con un concerto di Alexander Gadjev, uno dei migliori pianisti della nuova generazione in ambito non solo italiano ma internazionale. La sua penetrante capacità analitica, che non soffoca ma alimenta la sua doti istintive e la sua visionarietà, ha trovato lo spazio ideale in un programma libero e fantasioso ma allo stesso tempo percorso da una serie di sottili interconnessioni. Lo aprivano i cupissimi accordi di Funerailles di Liszt, amplificati con un magnifico effetto di risonanza dal pianista goriziano: questo brano tragico e teatrale, demoniaco e spirituale, è anche una commemorazione di Chopin - morto nei giorni in cui Liszt lo stava componendo - e contiene una citazione della sua Polacca op. 53, che è stata poi eseguita da Gadjev senza trasformare il celebre passaggio in ottave in una esibizione di forza e virtuosismo né scatenare il “fracasso di tuono” che Chopin detestava, come ricorda Luca Ciammarughi nel programma di sala. Era in linea con quel che Chopin chiedeva anche il tempo meno veloce del consueto, che permetteva a Gadjiev di mettere in luce il labor limae di Chopin e certe frasi cromatiche sinuose e languide. Questa Polacca è nota col titolo apocrifo “Eroica” e ciò consentiva un collegamento con le Variazioni e Fuga op. 35 di Beethoven, che recano anch’esse il titolo apocrifo “Eroica”, perché si basano su un tema che poi sarebbe stato utilizzato da Beethoven nel quarto movimento della sua terza Sinfonia. Anche in questo caso Gadjev non si è lasciato influenzare dalla tradizione esecutiva e ha riscoperto - sempre tenendosi a debita distanza da personalismi e bizzarrie ingiustificate - l’originalità di questa composizione, dove Beethoven supera la concezione classica della variazione, da una parte spinto dalla riscoperta di Bach e dall’altra anticipando le concezioni ardite del suo “terzo stile”.
Di Chopin erano in programma anche alcuni Preludi, a cui seguiva la Sonata n. 9 op. 68 di Skrjabin - nota col titolo “Messa nera”, anche questo apocrifo - in cui si riconosce l’influsso non solo di Chopin ma anche del Liszt funereo e satanico di Funerailles. Apparentemente spaesata era la Fantasia sopra un Ostinato, scritta nel 1985 dall’oggi ottantaseienne John Corigliano, uno dei principali compositori statunitensi contemporanei. Invece c’è qui un duplice rimando a Beethoven, uno molto preciso (il tema ostinato è quello dell’Allegretto della sua Sinfonia n. 7) e l’altro più generico (pure le sue Variazioni op. 35 si svolgono su un basso sempre ripetuto). Ma Corigliano altera la regolarità implacabile dell’ostinato con tutta una serie di piccole varianti, da cui scaturisce l’innegabile fascino di questa composizione. Gli applausi sono scattati dopo ogni brano e alla fine sembravano non dover finire mai, “costringendo” Gadjev a suonare ancora vari bis.
La sera successiva, sempre nella Chiesa di San Domenico a Città di Castello, si è svolto il primo dei concerti dedicati alla musica del Portogallo, che quest’anno è la nazione ospite del festival. L’Americantiga Ensemble ha gettato un fascio di luce sulla musica portoghese degli anni che vanno dalla fine del Seicento all’inizio dell’Ottocento, quasi totalmente sconosciuta al di fuori del Portogallo stesso. Inevitabilmente era forte l’influsso italiano, qui esemplificato da un’aria di Giovanni Bononcini e da una Sinfonia di Domenico Scarlatti, che vissero entrambi a Lisbona per qualche tempo. A sua volta la musica italiana ha preso qualcosa dalla portoghese, in particolare il tema detto “La follia”, che è alla base di tante variazioni di compositori italiani e anche francesi e tedeschi, che a loro volta furono un esempio per i portoghesi: questo scambio d’influssi reciproci era evidente nelle Variazioni sopra La Follia di Pedros Lopes Nogueira, che doveva conoscere bene “La Follia” di Corelli.
Ma il concerto era imperniato principalmente sulla musica vocale portoghese. Si apriva con una canzona anonima del Seicento per due soprani, che fin dal titolo Lagrimas de saudade è impregnata del nostalgico rimpianto ancora oggi caratteristico del fado. Si passava poi ad una cantata in lingua italiana e chiaramente ispirata all’opera italiana di Francisco Antonio D’Almeida, uno dei pochi compositori portoghesi dell’epoca che fosse noto anche fuori dai confini. Unapiacevolissima scoperta è stata la “modinha”, un genere di canzone di origine popolare, che mescola il folclore portoghese e le melodie afro-brasiliane, il tutto trasferito da compositori professionisti portoghesi nella vocalità e nella sempre gradevole scorrevolezza melodica dell’opera italiana comica o di mezzo carattere. Se ne sono ascoltate varie, di anonimi ma anche di autori relativamente noti come Marcos Portugal. Tutte, che fossero nostalgiche o sentimentali o brillanti, erano irresistibilmente seducenti e affascinanti, grazie anche alle voci di due soprani, quella dal timbro puro e immacolato di Sofia Pedro e quella screziata di Luanda Siqueira. Ottimo anche l’Americantiga Ensemble, diretto dal suo fondatore Ricardo Bernardes.
Negli stessi giorni si è svolto, sempre nell’ambito del festival, il Concorso Alberto Burri per gruppi giovanili di musica da camera. Il livello di questo concorso è testimoniato dal fatto che ben quattro dei vincitori delle sei precedenti edizioni hanno poi ricevuto dall’Associazione nazionale critici musicali il Premio Farulli per il miglior giovane gruppo cameristico: sono il Quartetto Eos, il Quartetto Werther, il Caravaggio Piano Quartet e il Trio Sheliak. Questa volta a vincere il concorso è stato il Trio Rinaldo, che nel concerto finale ha offerto una folgorante esecuzione del Trio per pianoforte e archi op. 67 di Shostakovich. Anche gli altri due gruppi ammessi al concerto finale, il Dynamis Piano Quartet e l’Alma Saxophone Quartet, erano di eccellente livello.
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