Sulle ali del canto con la voce delle tastiere storiche
Raffinato ciclo di concerti dell’Accademia Bartolomeo Cristofori per il festival del Maggio Musicale Fiorentino
Nella sala Zubin Mehta del Teatro del Maggio, opportunamente ridotta da un tramezzo per trasformarsi in una sala di dimensioni confacenti alle più tenui sonorità degli strumenti dell’Accademia Bartolomeo Cristofori, questa roccaforte delle tastiere storiche ha presentato i suoi gioielli, custoditi nella sede di via di Camaldoli dove si svolge anche la stagione concertistica dell’ABC ma più volte prestati a associazioni concertistiche operanti a Firenze. Il fortepiano firmato da Johann Schantz, Vienna fine XVIII secolo, quello di Carl Stein, Vienna 1830 ca., il pianoforte a cosa Ignace Pleyel, Parigi 1851, erano i protagonisti di un programma di sei concerti il cui filo rosso, che dava il titolo alla rassegna, appunto “Sulle ali del canto”, consisteva nell’interazione con la musica cantata e con le sue attitudini e repertori intesi come modello, fonte inesauribile di ispirazione, suggestione delle molteplici modalità con cui il repertorio vocale e quello pianistico hanno modo di guardarsi allo specchio – melodia e ornamentazione, parola e sua assenza e evocazione - come evidenziato (lo ricordava il fondatore dell’ABC, Stefano Fiuzzi, nel saggio del programma di sala che illustrava le idee alla base della proposta) anche dal titolo del celebre trattato di Sigismund Thalberg, L’arte del canto applicata al pianoforte (1850).
E dunque il fortepiano poi pianoforte come partner della voce nel più classico repertorio della musica vocale da camera italiana, con Rossini, qualche rarità (alcune liriche di Saverio Mercadante fra cui l’ultraromantica La fidanzata del demonio), qualche escursione nella canzone napoletana “d’autore” di Mercadante e Donizetti, e anche alcuni deliziosi Rondò di Friedrich Kuhlau ispirati al teatro mozartiano, nel concerto di Teresa Iervolino con Francesco Pareti dello Stein (domenica 14). Il non esserci della parola che diventa una struggente assenza-presenza degli accenti delicati o drammatici, in una selezione delle Romanze senza parole di Mendelssohn nel concerto di Jin Ju sul Pleyel, restituite dalla concertista con struggente eloquenza, a cui faceva seguito la reinvenzione di Liszt della parola cantata di Schubert (Ave Maria), e, sempre di Liszt, oltre alla ben nota parafrasi del Rigoletto, la più rara e quanto mai suggestiva Danza sacra e duetto finale dall’Aida (giovedì 18); il ritorno al Settecento e anche al giovane Beethoven sullo Schantz nel concerto di Francesco Libetta (venerdì 19) con la restituzione pianistica di fresche armonie napoletane da opere di Paisiello, la Sonata op. 1 di Clementi, uno Scarlatti dei più misteriosamente divaganti (K. 208) e le variazioni di Mozart e Beethoven fra cui ricordiamo almeno quelle di Beethoven su “Nel cor più non mi sento” dalla Molinara di Paisiello, e una preziosa versione pianistica d’autore di alcuni episodi delle Creature di Prometeo fra cui il famoso finale con lo stesso tema del finale della Terza e delle Variazioni op. 35, e in questo concerto abbiamo anche avuto modo di gustare il gioco dei registri azionati dalle ginocchiere dello Schantz.
Infine, sabato 20, il programma tutto chopiniano di Yuan Scheng sul Pleyel con la Barcarola, la Polacca-Fantasia, le Mazurche op. 59 e, come rarità e come omaggio al filo conduttore della rassegna, la trascrizione lisziana delle Sei arie polacche di Chopin, il tutto restituito con una maestrìa e un’espressione intima e delicata anche nei momenti di maggior prestanza tecnica veramente notevoli; e a questa cronaca dei concerti a cui abbiamo assistito c’è da aggiungere anche il concerto del 16 di Maurizio Baglini sul Pleyel, dedicato a Liszt e Chopin reinventori di Mozart, Donizetti, Verdi, Rossini. Una rassegna eccellente che nonostante il pubblico ristretto dalla non convenzionalità della proposta l’ha comunque incatenato, quel pubblico, alla più partecipe attenzione, con notevolissimo successo.
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