Una Lucia gotica alla Scala
Milano: Chailly sul podio per Donizetti
Riccardo Chailly torna sul podio della stagione lirica scaligera con una Lucia di Lammermoor di grande qualità. Si attiene alla partitura originaria, recuperando un'intera scena di Raimondo con Lucia, riaprendo i tagli che tradizionalmente penalizzano Enrico e come già aveva fatto Roberto Abbado (Scala 2006, regia di Pier'Alli) impiegando la glassharmonica nella scena della pazzia, che crea sonorità a dir poco conturbanti. Ma filologia a parte, l'edizione va segnalata per la direzione d'orchestra perché fin dalle prime misure l'atmosfera gotica rimane un punto di riferimento dell'intera vicenda e per contrasto fa da cornice ai momenti sospesi e ne dà una visione quasi irreale, come per esempio nel finale del primo atto. In ogni istante Chailly riesce a sviluppare la drammaturgia insita nella partitura, curando ogni particolare, in questo assecondato da un'orchestra in ottima forma. Dalla sua ha Lisette Oropesa, interprete ideale di Lucia, per vocalità duttile e partecipazione attoriale sorvegliatissima. Ora sognante, ora dolente, ora smarrita fino alla scena madre finale con l'abito da sposa lordo di sangue. Al suo fianco Juan Diego Flórez, che nei panni di Edgardo sconfina felicemente nel repertorio pre-verdiano, tenore di classe sempre raffinatissimo, perfettamente a suo agio nella parte, anche se talvolta è parso insufficiente di volume di voce. Boris Pinkhasovich, come Enrico, è un baritono squillante, con emissioni d'impressionante vigore, anche se in scena rimane più cantante piuttosto che personaggio. Mentre a vestire perfettamente i panni di Raimondo è un magnifico Michele Pertusi, che grazie al recupero della partitura gode di più spazio del solito.
A firmare regia, scene e costumi è Yannis Kokkos che ha talmente colto nel segno la cupezza dell'intreccio da invadere di nero il palcoscenico, nero pure il sipario che sostituisce quello rosso del teatro. L'impressione generale è di grande eleganza, ma anche di grande ovvietà, tuttavia col vantaggio di non risultare invadente. Tranne un'eccessiva presenza di statue ingombranti e didascaliche: dentro un bosco o nella magione degli Asthon due segugi e un cervo per spiegare agli spettatori che in Scozia si va a caccia, o una morte con falce per segnalare che l'azione si svolge in un cimitero. Comunque gli va riconosciuta la massima precisione nel muovere i personaggi sul palco, specie le masse corali dirette da Alberto Malazzi.
Al termine dello spettacolo lunghe ovazioni per Oropesa (già ottenute nel corso dello spettacolo), festeggiamenti per tutti i cantanti e per il maestro Chailly; ma buu insistiti dal loggione per Kokkos, francamente immeritati, e mugugni in platea degli strenui fautori delle regie innovative a ogni costo.
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