La storia del folk vista da Torino

Infernòt è il film di Elia Romanelli sulla storia del FolkClub di Torino (e del folk in Italia), in anteprima a Seeyousound

Infernot Giovanna Marini
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I torinesi lo conoscono bene: anche se non si tratta del locale più famoso della città, è uno dei più longevi e rispettabili. Nacque negli anni ’80, in un periodo in cui i trend erano tutt’altri, e resiste ancor oggi a dispetto di qualsiasi crisi: è il FolkClub, una creatura voluta da Franco Lucà, che ora è gestita dal figlio Paolo, nel segno della continuità con l’idea iniziale: trovare uno spazio per la musica “povera” per promuoverla e divulgarla.

– Leggi anche: Seeyousound IX: 10 film da non perdere

Questo è il messaggio essenziale del medio metraggio Infernòt. Viaggio nella musica folk, in anteprima assoluta al festival Seeyousound (proiezione prevista per sabato 25 febbraio alle 18, seguita da un live di Alessia Tondo e Davide Ambrogio). Un film che però non è la banale magnificazione dello storico locale, ma che il regista Elia Romanelli utilizza come pretesto per tracciare una breve storia del folk in Italia, dalla nascita ai giorni nostri.

FOlkClub

Sarebbe stato facile impostare la sceneggiatura partendo dalle centinaia di nomi illustri che hanno fatto la storia del Folk Club (e ce ne sono tantissimi, in verità). Romanelli invece si limita a selezionare pochi filmati d’epoca e qualcuno più recente, montandoli all’inizio e alla fine della pellicola, e racchiudendo nella parte centrale una sintetica ma molto istruttiva storia della musica popolare in Italia.

Lo fa coinvolgendo esperti e studiosi del fenomeno (tra i quali spicca il musicologo Jacopo Tomatis, anche collaboratore del giornale della musica), e musicisti direttamente coinvolti dalla vicenda: da Fausto Amodei a Vinicio Capossela, dallo stesso Franco Lucà (che, ricordiamolo, faceva parte dei Cantovivo negli anni ’70, prima di diventare organizzatore di eventi nel decennio successivo) a Giovanna Marini, per citarne solo una minima parte.

È in questo modo che si prende atto di cose curiose che sono spesso in contrasto col senso comune. Ad esempio, che la "scoperta" del folk italiano è parecchio tardiva (avvenne non prima della metà degli anni ’50 del secolo scorso) e che il primo artefice fu niente meno che Alan Lomax, lo stesso personaggio che contribuì più di chiunque altro alla diffusione e all’apprezzamento delle radici blues, country e folk negli Stati Uniti.

D’altronde, il folk è sempre stata una musica sconveniente. Quando Lomax insisteva per ascoltare qualche anziano contadino che gli proponesse una canzone della tradizione rurale, inevitabilmente gli si proponeva come alternativa una corale che sapeva eseguire alla perfezione un classico della lirica e al massimo una canzone dei primi festival di Sanremo; non quelle canzoni “vecchie e brutte”. E quando Giovanna Marini scoprì di essere più interessata a lavorare con la musica di tradizione orale, perché è quella più vicina alla gente, invece che con la classica che pure era stata al centro della sua formazione, si trovò a fare i conti con un pubblico che non ne voleva sapere di “canzoni cantate da una sguattera”.

Sono numerosi i momenti interessanti in questa breve ora di film: lo snodo cruciale di Cantacronache nel 1958, l’esplosione del fenomeno Bella ciao al festival di Spoleto del 1964, la descrizione del passaggio della canzone folk da tipica del mondo rurale e agricolo a quello urbano e industriale; e ancora il caso in cui un pezzo che nasce autoriale diventa parte del repertorio popolare, e la trasformazione avvenuta nel passaggio dagli anni ’70 agli ’80 in cui l’aspetto ideologico della canzone perde importanza in favore di quello musicale.

In questo contesto, il Folk Club, «forse l’unico folk club in Italia» nelle parole di Vinicio Capossela, è stato un catalizzatore eccezionale, agendo senza preconcetti e in piena libertà, e soprattutto senza voler apparire nostalgico o riproporre musica dei tempi andati. Il folk come forma espressiva è vivo e attuale, e nel rispetto della tradizione sa esprimere uno stile molto più moderno di altre tendenze, che pensano solo a compiacere le mode passeggere.

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