Nei decenni che hanno anche marcato la fine delle strutture più arcaiche della società contadina nel Salento, la pizzica tarantata è diventata sempre più festa e pura gioia, occasione di rilancio per luoghi meravigliosi, innesco per nuova musica dal cuore antico.
C’è ora un nuovo e gran progetto che ruota sul ricordo del “ragno che fa ballare” e sulla comunicativa immediata e battente della pizzica, Super Taranta. In concerto ad Ancona per UlisseFest all’Arena del Mare il 5 luglio alle 22.30. Un'orchestra da sogno che convoglia e valorizza molte delle migliori energie giovani attive negli ultimi anni del vitale continente sonoro della pizzica.
Ne abbiamo parlato con gli artefici, Mauro Durante e Antonio Castrignanò.
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Come è scaturita l’idea di Super Taranta? Un’esigenza inevitabile, una richiesta che è arrivata di colpo?
DURANTE e CASTRIGNANÒ: «L’idea è stata di entrambi. Ci siamo cercati perché sentivamo che fosse arrivato il momento di dare un messaggio di unione sul territorio; di tornare a dar voce, dal basso, a un movimento che da sempre ha raccontato la poesia e la forza liberatoria di questa musica».
«Ci siamo cercati perché sentivamo che fosse arrivato il momento di dare un messaggio di unione sul territorio; di tornare a dar voce, dal basso, a un movimento che da sempre ha raccontato la poesia e la forza liberatoria di questa musica».
«Inoltre, è importante che il nostro movimento sia rappresentato da un collettivo spontaneo autogestito, senza alcuna interferenza politica».
Com’è avvenuto il processo di scelta di chi compone Super Taranta? È un organico fisso, o una formazione elastica nell’equilibrio strumentale e coreutico, lasciando porte aperte al futuro?
DURANTE e CASTRIGNANÒ: «Abbiamo parlato e discusso molto tra noi due, plasmando l'idea e la forma della band. Poi abbiamo parlato con gli artisti che volevamo coinvolgere e abbiamo iniziato a provare. È stato un processo, lo è ancora. L'idea di Super Taranta è quella di un collettivo vivo, aperto. Certamente coinvolgeremo altri artisti che stimiamo, salentini e internazionali, per dar vita a nuove alchimie».
Quali tappe importanti potete già considerare “storia” di Super Taranta, e quali stimoli vi sono arrivati dalla prime serie concertistica?
DURANTE: «Avvertire l’esigenza di fare un “cerchio”, un passo indietro nei propri progetti personali, dedicando tempo e energie per qualcosa di collettivo è già un buon inizio perché resti alla memoria come un “fatto storico”. Un movimento artistico che parte dagli individui, con nessuna parte pubblica o privata coinvolta è socialmente un evento sempre più raro».
CASTRIGNANÒ: «Artisticamente, la prima non si scorda mai: crediamo che il debutto del 21 giugno 2023 a Calimera sia stato un momento “storico” significativo per quello che ha rappresentato. Molte persone sono partite da ogni parte dell’Italia per assistere a quel concerto, ne siamo felici e grati».
«Abbiamo proseguito con la Focara di Novoli, evento simbolo dell’inverno contadino salentino, l’ Alcatraz di Milano. Anche Roma è stata un'esperienza esaltante. Ogni tappa regala ancora forti e uniche emozioni. La gente ha percepito i nostri spettacoli come momenti “storici”, un'unica realtà. È incredibile sentire questo amore, questo entusiasmo».
Mauro Durante, sei un figlio d’arte, hai respirato in quel contesto musicale, hai vissuto il momento in cui il sapere del Canzoniere Grecanico Salentino si apriva ad altro e imparava a dialogarci. Credi che, a tua volta, sia tuo compito trasmettere l’esperienza? Ti trovi mai a discutere di questi problemi con gente che ormai ha circa una generazione in meno di voi ?
DURANTE: «Sì, sento questa responsabilità e mi piacerebbe molto contribuire a trasmettere la mia esperienza. Cerco di farlo in primis con la musica, credo che sia l'esempio più forte e convincente. Insegno Tamburi a cornice al conservatorio di Lecce, mi è capitato di tenere un corso di Musica d'insieme alla World Music Academy di San Vito dei Normanni... In tutte le occasioni di contatto con altri artisti cerco di spiegare le linee guida fondamentali nel trattare con le musiche di tradizione orale».
«I problemi nascono proprio da insufficiente studio, ascolto e analisi di quei repertori. Non si arriva preparati alle difficoltà che si affrontano nella “traduzione” di quel materiale. Ho avuto la fortuna di avere in mio padre un riferimento imprescindibile, sarei felice di riuscire ad essere utile ad altre persone che condividono il mio amore per questa cultura».
Hai mai fatto caso che nel tuo cognome, Durante, c’è il participio presente di “durare”? Un segno del destino sul futuro?
«È un'immagine bellissima, un'immagine in movimento… nel 2025 saranno 50 anni dalla nascita del Canzoniere, passato da Rina a Daniele, fino a me. “Durante”…Mi sono trovato a rifletterci molto, specie dopo aver perso mio padre. È come se questa “missione” ci unisse al di là dei confini del tempo».
Considerati i filmati che girano in rete, forse ci sarebbe bisogno anche di una testimonianza discografica di Super Taranta dal vivo. Che ne pensate?
DURANTE e CASTRIGNANÒ: «Assolutamente d'accordo. È nei nostri piani per l'immediato futuro e crediamo che l’impatto sonoro ed emotivo che tutti insieme riusciamo a generare sul palco sarà un valore aggiunto assoluto per il nostro progetto discografico».
Se poteste avere una macchina del tempo e gettare un’occhiata su cosa sarà il fenomeno della musica salentina tra cent’anni avreste più curiosità, interesse scientifico o timore?
DURANTE: «Moltissima curiosità. Non bisogna avere paura del futuro e delle nuove generazioni. Mi preoccupano di più i danni che possono fare quelle attuali».
CASTRIGNANÒ: «Affascinato dall’idea. L’interesse scientifico è quello che mi incuriosisce di più, anche solo per capire se la musica abbia continuato a essere veicolo di storie umane, valori profondi, note catartiche nel futuro, oppure se la società attuale potrà ancora essere “letta” attraverso la musica del popolo. Ne dubito».
Super Taranta accorpa gran parte dei “classici” della pizzica, ma lascia anche spazio a nuove composizioni. È un processo di scrittura diverso da quello per piccolo gruppo? Come si arriva alla stesura finale di un brano per un organico così vasto?
DURANTE: «Il processo cambia a seconda della natura del brano. A volte siamo partiti da zero, realizzando arrangiamenti pensati ad hoc per questo organico. Ed è la strada che vogliamo percorrere sempre di più in futuro. È il caso di brani come "Pizzica di Aradeo", "Nicchiarica", "Mavro Ce Skotinò" o "Tornare". Altre volte abbiamo riadattato per questa formazione brani che venivano dai repertori del Canzoniere Grecanico Salentino, di Antonio, di Enza Pagliara eccetera».
«In uno spettacolo che dura circa tre ore la sfida è riuscire a dare una rappresentazione compatta e unitaria, che allo stesso tempo metta in luce le individualità di cantanti, musicisti e danzatori».
CASTRIGNANÒ: «Altre volte ci sono anche esigenze artistiche che suggeriscono di svuotare o riempire gli arrangiamenti piuttosto che la scena, e noi indubbiamente ci facciamo guidare dal nostro istinto e dalla sensibilità di tutti gli artisti coinvolti».
Don Cherry, musicista jazz e sperimentatore disse, anni fa: “Le persone che credono troppo ai confini finiscono per diventarne parte”.
DURANTE: «A volte I confini possono essere utili ad incanalare la creatività, come spiega David Byrne nel suo How Music Works. Ad esempio il range di estensione vocale di un cantante, le tonalità in cui può suonare un organetto, le tonalità che non può affrontare un'armonica a bocca... Sono tutte occasioni per focalizzare la creatività all'interno di “limiti”, rendendola più affilata. Ma sono scelte, pretesti, possono cambiare di brano in brano, progetto o momento. Il problema nasce quando i confini vengono usati per dividere, decidere chi/cosa è fuori e chi è dentro, causando aridità e chiusura. La negazione della musica».
CASTRIGNANÒ: «I confini servono per sentirsi protetti da una conoscenza, e utili anche per oltrepassarli. Ho sempre pensato che l’arte nei suoi molteplici linguaggi non abbia, e non debba avere, alcun confine ma piuttosto debba spingere la fantasia umana a creare condizioni emotive, visive, sonore ancora sconosciute e inimmaginabili».
Un commento a due definizioni della “tradizione”, per come possono essere applicate a quello che fate nel lavoro e nella gioia di stare sul palco: “La tradizione non è conservare le ceneri, ma tenere accese le braci”. (G. Mahler)
CASTRIGNANÒ: «Perfetto! Nulla si può aggiungere».
CASTRIGNANÒ: «Potrei tatuarmelo!».
“Questo deve essere la tradizione: uno strumento, non un perpetuarsi di malumori (J.L. Borges)
DURANTE: «Borges è sempre illuminante. Gramsci diceva che riappropriarsi delle proprie radici e tradizioni doveva essere funzionale ad un'azione presente e futura più consapevole. Non a chiudersi rifiutando il confronto e l'incontro. Oggi invece, allargando il discorso, spesso la parola tradizione viene usata come scusa per difendere privilegi consolidati».
CASTRIGNANÒ: «Magari la nostalgia può essere un sentimento utile alla tradizione ma non per generare malumore, piuttosto per spingerti ad agire consapevolmente, prendersi cura di ciò che hai ereditato dal passato e ritieni ancora necessario per l’umanità del futuro».