Pirati del Messico

Una compilation Analog Africa per scoprire l'esaltante musica pirata da Tepito, Città del Messico

Analog Africa
© Analog Africa
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Super Disco Pirata – De Tepito Para El Mundo 1965-1980, una raccolta dell’etichetta Analog Africa, ricostruisce la storia poco conosciuta della pirateria discografica sviluppatasi principalmente negli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta soprattutto nel quartiere di Tepito a Città del Messico. Un Mixed by Erri in salsa Cholula.

– Leggi anche: Analog Africa, cinque dischi per dieci anni

«Sto affrontando un dilemma» – confessa Samy Ben Redjeb, il creatore dell’etichetta Analog Africa. «Come può il fondatore di un’etichetta musicale indipendente – la cui sopravvivenza deriva dalla vendita degli album – giustificare la creazione di un progetto che dà evidenza, addirittura dà lode alla pirateria, la piaga che ha condotto molte etichette sull’orlo della bancarotta?».

 Un Mixed by Erri in salsa Cholula

Samy entra per la prima volta in contatto coi dischi piratas nel 2020 mentre è a Città del Messico a caccia di musica: quelle copertine rigorosamente DIY dall’aspetto strano e i brani aggiustati, manipolati con l’equalizzatore per enfatizzare i medi e gli alti lo conquistarono immediatamente. 

Super disco pirata

Inutile negarlo: più s’immergeva in quel mondo fatto di produzioni illegali e più ne rimaneva intrigato, sognando ben presto di realizzare un giorno o l’altro la sua compilation pescando dalle compilation piratate. Ma oltre l’attrazione per quel mondo parallelo, era innegabile che il movimento pirata aveva svolto un ruolo significativo nel dare forma alla scena musicale messicana. 

Sì, ma com’era cominciato tutto?

Stigmatizzato dai mass media come covo di delinquenti, evitato da messicani e stranieri per la sua presunta pericolosità e considerato il tempio della merce di contrabbando, chiamata fayuca, Tepito è in realtà un’enclave di resistenza e creatività culturale senza pari. È un barrio formato da 56 isolati e abitato da cinquantamila residenti, i tepiteños, distribuiti su un’area urbana dal tracciato trapezoidale che formalmente è parte del centro storico, dato che si trova solo a una decina d’isolati dalla cattedrale e dal zocalo, l’immensa piazza che è tappa obbligata del turismo tradizionale. Come si legge su un poster giusto all’entrata del quartiere, «en Tepito todo se vende, menos la dignidad».

Oggi all’angolo delle vie Constancia e Tenochtitlan una targa ricorda che siamo a «Tepiqueuhcan (nome indigeno di Tepito), dove iniziò la schiavitù e fu fatto prigioniero Cuauhtémoc la sera del 13 agosto 1521». L’assedio degli iberici e dei loro alleati indigeni tlaxcatlecas durò ben 90 giorni, alla fine dei quali Tenochtitlan, la capitale dell’impero azteco, cadde in mano ai conquistatori e Cuauhtémoc fu sottoposto al supplizio della bruciatura dei piedi.

Da allora Tepito è un rione di indios e mercanti in resistenza. Per questo motivo e per la pervicacia dei suoi abitanti l’alias di Tepito è el barrio bravo, quartiere coraggioso, selvaggio e indomito. Ma il soprannome vale anche perché è sempre stato anche un vivaio di campioni di boxe, oltreché uno snodo di traffici, fortune e miserie, e un luogo in cui la polizia tende a non entrare. Comunque i locali, stufi delle etichette negative, tendono a rigirare l’espressione e dicono piuttosto “¡Bravo el Barrio!”, ossia “che forte il quartiere!”

Tepito
© Analog Africa

A Città del Messico, durante gli anni Ottanta e Novanta, i bootleg – chiamati piratas –, prodotti con vinile riciclato e stampati in non più di 500 copie, avevano bassi costi di produzione e bassi prezzi di vendita, destinati com’erano a persone che altrimenti non sarebbero state in grado di acquistarli. Suonati ossessivamente in ogni angolo dei barrios densamente popolati di tutto il Messico dagli operatori dei soundsystem, conosciuti in questa parte del mondo come sonideros, questi bootleg svolsero un compito educativo: non solo nutrirono le avide orecchie dei ragazzi ma fecero anche da cassa di risonanza per alcune delle migliori musiche tropicali incise in America Latina.

Durante gli anni Ottanta un gruppo di commercianti e collezionisti di dischi di Città del Messico unì le forze al fine di creare una serie di vinili prodotti illegalmente e contenenti successi di difficile reperibilità provenienti da Perú, Ecuador, Colombia e altri Paesi dell’America Latina. A quel tempo la scena delle feste da ballo di Città del Messico era controllata dai già citati sonideros, un network altamente sviluppato di operatori di soundsystem mobili.

sonideros
Lucho Campillo e Pablo Perea (Sonido Arcoiris) © Analog Africa

La loro popolarità scatenò una crescente domanda di musica tropicale, dal momento che le loro fan base diventavano sempre più affamate di successi “esclusivi” associati a sonidos particolari – più o meno quello che era già successo in Giamaica col fenomeno dei dubplate. A tutto ciò aggiungiamo che i commercianti di dischi si stavano scoraggiando perché l’industria musicale li stava “nutrendo” con raffiche di dischi mediocri e da questa frustrazione nacque l’idea di compilare e produrre album in cui ogni canzone fosse un successo: «Non era importante dove la puntina cadesse, doveva essere una canzone capace d’infiammare la festa». 

Ecco un esempio: da Lima, Perù, arrivavano i Pakines e la loro “Venus” è uno di quei pezzi che potrebbe tranquillamente far parte del repertorio dei Khruangbin.

Questi “piratas” cominciarono ad apparire in maniera piuttosto misteriosa all’inizio degli anni 80 – ovviamente riportando sulle copertine la frase Di No A La Pirateria - su varie bancarelle del mercato di Tepito, il famigerato barrio di Città del Messico, un posto dove era possibile partecipare a feste diurne di salsa, acquistare ogni droga immaginabile, comprare ogni tipo di arma e trovare musica piratata in ogni formato. 

«Cosa succede a Tepito rimane a Tepito».

Come si può immaginare, ottenere informazioni su quei commerci è molto difficile nonché pericoloso: «Cosa succede a Tepito rimane a Tepito».

A causa del logo dei sonideros sulle copertine dei dischi, subito Samy credette che fossero gli stessi sonideros a creare queste selezioni, forse anche a piratarle, ma non sembra essere andata così: il logo era impresso sulle copertine al solo scopo di attirare i clienti – con la benedizione dei sonideros, naturalmente: chi rinuncerebbe alla pubblicità gratuita? 

Naturalmente gran parte delle informazioni riportate in questo articolo proviene dal fantastico booklet di 28 pagine incluso nella versione CD di questo disco, un’autentica miniera di racconti e aneddoti di un periodo e di un fenomeno poco conosciuti in Europa. 

Pochi mesi fa ho avuto il piacere di fare un’intervista pubblica a Volkan Kaya di Analog Africa in occasione della pubblicazione della precedente raccolta dedicata al Congo funk: bene, in quell’occasione Volkan ha svelato ai presenti che ogni uscita dell’etichetta è il frutto di sei o sette anni di lavoro, giusto per far capire il livello di perfezionismo ricercato dalla sua etichetta.

Preceduti da tre singoli, i 23 brani che compongono Super Disco Pirata saranno disponibili a partire dal 15 novembre: con questa sua fantastica trentanovesima uscita Analog Africa si riconferma una delle etichette più interessanti in circolazione.

 «Este proyecto está dedicado a todos los sonideros de la Ciudad de México» - Analog Africa sulla sua pagina Bandcamp

 P.S. Il 15 aprile 2022 Analog Africa rese disponibile la sua trentaquattresima pubblicazione, Saturno 2000 – La Rebajada de los Sonideros 1962-1983: penso di non stupirvi dicendo che dopo pochi giorni la versione piratata del disco era su tutte le bancarelle di Tepito, “il tempio della pirateria”.

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