La levità di una Grande Messa
A Ferrara Musica, un’esecuzione nataliziamente consolatoria del capolavoro bachiano offerta da Andrea Marcon con i suoi giovani barocchisti
L’assunzione continuata di concerti funziona un po’ come quella degli alimenti. Dopo le brume terrificanti del Requiem verdiano che hanno tenuto banco a cavallo dello scorso week-end, fra Ravenna, Rimini e Bologna [inserire qui il link al pezzo di ieri], la cosiddetta Grande Messa in Si minore di Bach proposta da Ferrara Musica ha svolto la funzione di tisana depurativa: grandiosa ma sempre cristallina, densa eppur drenante per le tossine umorali che ci pervadono a ridosso di un Natale poco sereno. Benedette dunque le feste comandate, che – quasi per un obbligo etico cui le istituzioni concertistiche continuano ad allinearsi (ma chissà per quanto ancora) – ci regalano la possibilità di ascoltare qua e là i capolavori dell’antica musica sacra. E doppio merito a Ferrara Musica che ha programmato questo Concerto di Natale (titolo espressamente indicato in locandina) in teatro e non in una qualsiasi chiesa ove il suono si confonde e si disperde.
Inspiegabile il senso di unità e compattezza che la più celebre e importante Messa bachiana produce ad ogni ascolto, considerato che venne assemblata dall’autore riciclando in buona parte brani preesistenti, anche di provenienza profana: una compattezza che – come s’usa dire – si tagliava col coltello nell’esecuzione tutta d’un fiato realizzata al Teatro Comunale di Ferrara da Andrea Marcon, senza neppure il classico intervallo dopo il «Gloria».
Esecuzione peraltro impeccabile su tutti i fronti, non fosse stato per le incertezze in cui è incappato quel corno che interviene una volta sola in tutta la partitura – ma con un’evidenza senza pari – a duettare insieme al basso solista nell’aria «Quoniam tu solus sanctus». Il livello di tutti gli altri strumentisti è invece quello che in tempi non lontani avremmo trovato soltanto all’estero, e che oggi ci viene nondimeno assicurato da una compagine di formazione italiana, a dispetto del nome Orchestra Frau Musika: un formidabile ensemble di strumenti cosiddetti antichi originatosi a Vicenza, cui concorrono giovani selezionati a livello internazionale, venutisi a specializzare con Andrea Marcon ed altri reputati musicisti dediti al repertorio barocco.
Non meno efficaci i membri del Coro del Friuli Venezia Giulia in numero di 37 elementi: quasi uno schiaffo stilistico a certe scelte interpretative d’Oltralpe che vorrebbero invece eseguire le parti corali di Bach a voci sole o quasi. Quando ciò avviene, in questa esecuzione, è sempre per scelta oculata, come nella manciata di passi a quattro o cinque voci che abbiamo nelle orecchie in versione corale e che Marcon affida invece ai suoi cinque solisti: il soprano Miriam Feursinger, i mezzosoprani Lea Müller e Rachele Raggiotti, il tenore Jakob Pilgram, il basso José Antonio López: tutti di alto livello, nell’impossibilità di stilare una classifica di merito.
Anche per i tempi staccati nell’esecuzione, Marcon rifugge certe corse estreme cui tale musica è stata fatta oggetto in anni recenti, restando sempre sulla scia assennata della cantabilità. Sul fronte opposto, sono altrettanto lontani – stilisticamente lontani, ma non cronologicamente – gli anni in cui un Klemperer o un Giulini battevano l’attacco del «Gloria» “in tre” anziché “in uno”: la loro Messa durava 15 minuti buoni in più di quella diretta da Marcon, caricandosi di ieratica pesantezza, mentre è stata in tutto e per tutto una levità diffusa la cifra dell’esecuzione propostaci a Ferrara.
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